Propaganda di guerra. Estratto del Bollettino della R. Società Geografica Italiana, (25 novembre 1917), n. 1
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ma anche intorno a cose della vita pratica, e specialmente
a quelle che oggi sono oggetto dei più sentiti bisogni o lo saranno
domani.
Premesse alcune dichiarazioni su l'amor di patria, fa di questa
una definizione che non potrebb'essere nè più esatta nè più acconocia
alla divulgazione, quando sia fatta fra i più umili con giusto accorgimento.
<<La Patria - dice il chiaro scrittore - è l'orizzonte sempre
dischiuso innanzi alla nostra mente, anche quando non è davanti ai
nostri occhi; è la lingua che parliamo e attraverso la quale possediamo
tutto il patrimonio dei nostri pensieri; è il tesoro di tutte le nostre
memorie, care per la loro gioia e per la stessa loro angoscia; è il
complesso di tutti i nostri più legittimi interessi; è l'organo attraverso
cui viviano la nostra vita civile; è il rifugio di tutte le nostre migliori
speranze.>>
Poi considera i sordi della voce della Patria, e di questi fa due classi:
gli ottusi per intima perversione dello spirito, e i corrotti, gli ambiziosi,
i partigiani, i faziosi, coloro insomma che a tutto antepongono
una qualsiasi cupidigia loro particolare. Di tutti costoro, dice, non vale
la pena di occuparsi. E lo dice perchè sa - come sanno quanti
conoscono intimamente l'anima del popolo italiano - che costoro
sono soltanto un'esigua minoranza.
Rivolgendosi allora alla grande maggioranza che sente, e solo abbisogna
di luce per meglio intendere le cose, egli così parla al paese:
<<Ma ve ne sono - e sono i più - che per la cerchia limitata
della loro esperienza, per l'ambiente angusto in cui hanno vissuto,
per la poca abitudine a riflettere e osservare, pur avendo buone
disposizioni di animo e amore pel paese, non sentono ancora nè
comprendono pienamente per quanti vincoli - a qualunque stato
sociale essi appartengono - la loro vita è congiunta a quella della
Patria per la quale perciò il loro affetto deve divenire effettivo,
attivo, operoso. E basterà che essi guardino un pò alla sfera di azione
in cui si muovono, ai loro più chiari interessi, al più probabile e più
immediata venire proprio e dei figli perchè se ne rendano subito conto.
<<Quel che può avvenire di bene o di male all'Italia, per necessità
deve riflettersi su tutti quanti viviamo nei suoi confini e deve toccarci
in ogni punto della nostra attività. E' un illusione, se non
è pure una follia, il credere che qualcuno si possa sottrarre alle conseguenze
dei danni toccati alla Patria, quasi che egli vivesse fuori
di ogni contatto col mondo e con gli uomini che lo circondano. Ciascuno
vivrà la vita più cara o più a buon mercato, troverà più facilmente
o più difficilmente lavoro, vedrà aperto uno sbocco più agevole
o più disagevole alla sua qualsiasi carriera, secondo che la Patria
sarà uscita vittoriosa o umiliata dal conflitto.
<<Potrà sembrare a qualcuno che chi è ricco troverà nella sua
fortuna un riparo che lo metta al coverto da ogni evenienza. E' un
errore. Per il semplici attuale svilimento della moneta la ricchezza
di ciascuno è già ridotta a meno della metà. Se il cambio non discende,
se la circolazione della moneta cartacea non si risana, questi effetti
perdureranno e peggioreranno anche. Se le nostre spese di guerra,
che hanno già sorpassato, in pagamenti, i ventitre miliardi, dovessero
essere pagate da noi anzichè dal nemico, la costa sarebbe certamente
grave. La vittoria, in pieno accordo con i nostri alleati che rappresentano
tanta parte del commercio del mondo, vorrebbe poi dire
un credito più alto e più esteso, un traffico più intenso; mentre un esito
avverso vorrebbe dire il contrario.
<<Può parere ad altri che, se perderà chi ha qualche cosa da perdere,
nulla potrà perdere chi niente ha; a questo si riduce la cinica e vergognosa
esclamazione di quelli che, senza rendersene conto, si dicono
indifferenti anche alla venuta del tedesco, perchè eserciterebbero
ugualmente sotto il tedesco la faticosa opera manuale che ora esercitano
in servigio del connazionale. Se anche si volesse prescindere
da tutto il deplorevole valore morale di una tale affermazione che
nega al lavoratore ogni sensibilità e ogni interesse morale, mettendolo
al livello dell'asino di Esopo, essa resterebbe sempre priva di fondamento,
come tutte le soluzioni semplicistiche e facilone dei fenomeni
più complessi e dei fatti più degni di meditazione.
<<Il caso di un singolo operaio che lavori, in condizioni ordinarie,
nel proprio ambiente, per un connazionale o per uno straniero, può
presentare poca o nessuna differenza. Ma ben altro è il caso di tutta
una classe operaia che debba lavorare e vivere in un paese vinto o dominato.
<<Già in un paese vinto ed esaurito di capitali scarseggerebbe
necessariamente il lavoro. Peggio avviene in un paese dominato.
E mai la cosa si è presentata in forma più tipica di oggi nella guerra
con la Germania.
<<La Germania ha suscitato questa guerra, in fondo, per imporre
col suo dominio politico la sua supremazia industriale e commerciale:
una sua vittoria quindi si risolverebbe massimamente nel monopolizzare,
più che non abbia cercato di fare finora industrie e commerci
a danno dei vinti. E per questo il proletariato e il patito socialista
tedesco hanno fatto causa comune con tutti gli altri partiti
del loro paese. Il proletariato di un paese straniero si troverebbe
quindi nella condizione - se si vuole usare una similitudine figurata -
dello strato inferiore della piramide che deve sostenere tutti
gli altri. E, nel peso da sostenere, vi sarebbe anche il proletariato
tedesco che, per un patto implicito, ha aiutato come più ha potuto il
suo govero durante la guerra, e si ripromette una condizione di
privilegio da una eventuale vittoria.
<<E' un errore anche il credere che in un paese dominato o vinto
il ceto operaio si trovi nella stessa condizione di quello del paese
dominante. Già in condizioni ordinarie e normali gli operai hanno
potuto sentire tutto il disagio del trattare, in caso di contestazione,
con società straniere che avevano la loro amministrazione fuori
d'Italia, e spesso avevano alle spalle anche l'appoggio politico,
per quanto dissimulato, del loro governo. Quel diritto di associazione
-
ma anche intorno a cose della vita pratica, e specialmente
a quelle che oggi sono oggetto dei più sentiti bisogni o lo saranno
domani.
Premesse alcune dichiarazioni su l'amor di patria, fa di questa
una definizione che non potrebb'essere nè più esatta nè più acconocia
alla divulgazione, quando sia fatta fra i più umili con giusto accorgimento.
<<La Patria - dice il chiaro scrittore - è l'orizzonte sempre
dischiuso innanzi alla nostra mente, anche quando non è davanti ai
nostri occhi; è la lingua che parliamo e attraverso la quale possediamo
tutto il patrimonio dei nostri pensieri; è il tesoro di tutte le nostre
memorie, care per la loro gioia e per la stessa loro angoscia; è il
complesso di tutti i nostri più legittimi interessi; è l'organo attraverso
cui viviano la nostra vita civile; è il rifugio di tutte le nostre migliori
speranze.>>
Poi considera i sordi della voce della Patria, e di questi fa due classi:
gli ottusi per intima perversione dello spirito, e i corrotti, gli ambiziosi,
i partigiani, i faziosi, coloro insomma che a tutto antepongono
una qualsiasi cupidigia loro particolare. Di tutti costoro, dice, non vale
la pena di occuparsi. E lo dice perchè sa - come sanno quanti
conoscono intimamente l'anima del popolo italiano - che costoro
sono soltanto un'esigua minoranza.
Rivolgendosi allora alla grande maggioranza che sente, e solo abbisogna
di luce per meglio intendere le cose, egli così parla al paese:
<<Ma ve ne sono - e sono i più - che per la cerchia limitata
della loro esperienza, per l'ambiente angusto in cui hanno vissuto,
per la poca abitudine a riflettere e osservare, pur avendo buone
disposizioni di animo e amore pel paese, non sentono ancora nè
comprendono pienamente per quanti vincoli - a qualunque stato
sociale essi appartengono - la loro vita è congiunta a quella della
Patria per la quale perciò il loro affetto deve divenire effettivo,
attivo, operoso. E basterà che essi guardino un pò alla sfera di azione
in cui si muovono, ai loro più chiari interessi, al più probabile e più
immediata venire proprio e dei figli perchè se ne rendano subito conto.
<<Quel che può avvenire di bene o di male all'Italia, per necessità
deve riflettersi su tutti quanti viviamo nei suoi confini e deve toccarci
in ogni punto della nostra attività. E' un illusione, se non
è pure una follia, il credere che qualcuno si possa sottrarre alle conseguenze
dei danni toccati alla Patria, quasi che egli vivesse fuori
di ogni contatto col mondo e con gli uomini che lo circondano. Ciascuno
vivrà la vita più cara o più a buon mercato, troverà più facilmente
o più difficilmente lavoro, vedrà aperto uno sbocco più agevole
o più disagevole alla sua qualsiasi carriera, secondo che la Patria
sarà uscita vittoriosa o umiliata dal conflitto.
<<Potrà sembrare a qualcuno che chi è ricco troverà nella sua
fortuna un riparo che lo metta al coverto da ogni evenienza. E' un
errore. Per il semplici attuale svilimento della moneta la ricchezza
di ciascuno è già ridotta a meno della metà. Se il cambio non discende,
se la circolazione della moneta cartacea non si risana, questi effetti
perdureranno e peggioreranno anche. Se le nostre spese di guerra,
che hanno già sorpassato, in pagamenti, i ventitre miliardi, dovessero
essere pagate da noi anzichè dal nemico, la costa sarebbe certamente
grave. La vittoria, in pieno accordo con i nostri alleati che rappresentano
tanta parte del commercio del mondo, vorrebbe poi dire
un credito più alto e più esteso, un traffico più intenso; mentre un esito
avverso vorrebbe dire il contrario.
<<Può parere ad altri che, se perderà chi ha qualche cosa da perdere,
nulla potrà perdere chi niente ha; a questo si riduce la cinica e vergognosa
esclamazione di quelli che, senza rendersene conto, si dicono
indifferenti anche alla venuta del tedesco, perchè eserciterebbero
ugualmente sotto il tedesco la faticosa opera manuale che ora esercitano
in servigio del connazionale. Se anche si volesse prescindere
da tutto il deplorevole valore morale di una tale affermazione che
nega al lavoratore ogni sensibilità e ogni interesse morale, mettendolo
al livello dell'asino di Esopo, essa resterebbe sempre priva di fondamento,
come tutte le soluzioni semplicistiche e facilone dei fenomeni
più complessi e dei fatti più degni di meditazione.
<<Il caso di un singolo operaio che lavori, in condizioni ordinarie,
nel proprio ambiente, per un connazionale o per uno straniero, può
presentare poca o nessuna differenza. Ma ben altro è il caso di tutta
una classe operaia che debba lavorare e vivere in un paese vinto o dominato.
<<Già in un paese vinto ed esaurito di capitali scarseggerebbe
necessariamente il lavoro. Peggio avviene in un paese dominato.
E mai la cosa si è presentata in forma più tipica di oggi nella guerra
con la Germania.
<<La Germania ha suscitato questa guerra, in fondo, per imporre
col suo dominio politico la sua supremazia industriale e commerciale:
una sua vittoria quindi si risolverebbe massimamente nel monopolizzare,
più che non abbia cercato di fare finora industrie e commerci
a danno dei vinti. E per questo il proletariato e il patito socialista
tedesco hanno fatto causa comune con tutti gli altri partiti
del loro paese. Il proletariato di un paese straniero si troverebbe
quindi nella condizione - se si vuole usare una similitudine figurata -
dello strato inferiore della piramide che deve sostenere tutti
gli altri. E, nel peso da sostenere, vi sarebbe anche il proletariato
tedesco che, per un patto implicito, ha aiutato come più ha potuto il
suo govero durante la guerra, e si ripromette una condizione di
privilegio da una eventuale vittoria.
<<E' un errore anche il credere che in un paese dominato o vinto
il ceto operaio si trovi nella stessa condizione di quello del paese
dominante. Già in condizioni ordinarie e normali gli operai hanno
potuto sentire tutto il disagio del trattare, in caso di contestazione,
con società straniere che avevano la loro amministrazione fuori
d'Italia, e spesso avevano alle spalle anche l'appoggio politico,
per quanto dissimulato, del loro governo. Quel diritto di associazione
-
ma anche intorno a cose della vita pratica, e specialmente
a quelle che oggi sono oggetto dei più sentiti bisogni o lo saranno
domani.
Premesse alcune dichiarazioni su l'amor di patria, fa di questa
una definizione che non potrebb'essere nè più esatta nè più acconocia
alla divulgazione, quando sia fatta fra i più umili con giusto accorgimento.
<<La Patria - dice il chiaro scrittore - è l'orizzonte sempre
dischiuso innanzi alla nostra mente, anche quando non è davanti ai
nostri occhi; è la lingua che parliamo e attraverso la quale possediamo
tutto il patrimonio dei nostri pensieri; è il tesoro di tutte le nostre
memorie, care per la loro gioia e per la stessa loro angoscia; è il
complesso di tutti i nostri più legittimi interessi; è l'organo attraverso
cui viviano la nostra vita civile; è il rifugio di tutte le nostre migliori
speranze.>>
Poi considera i sordi della voce della Patria, e di questi fa due classi:
gli ottusi per intima perversione dello spirito, e i corrotti, gli ambiziosi,
i partigiani, i faziosi, coloro insomma che a tutto antepongono
una qualsiasi cupidigia loro particolare. Di tutti costoro, dice, non vale
la pena di occuparsi. E lo dice perchè sa - come sanno quanti
conoscono intimamente l'anima del popolo italiano - che costoro
sono soltanto un'esigua minoranza.
Rivolgendosi allora alla grande maggioranza che sente, e solo abbisogna
di luce per meglio intendere le cose, egli così parla al paese:
<<Ma ve ne sono - e sono i più - che per la cerchia limitata
della loro esperienza, per l'ambiente angusto in cui hanno vissuto,
per la poca abitudine a riflettere e osservare, pur avendo buone
disposizioni di animo e amore pel paese, non sentono ancora nè
comprendono pienamente per quanti vincoli - a qualunque stato
sociale essi appartengono - la loro vita è congiunta a quella della
Patria per la quale perciò il loro affetto deve divenire effettivo,
attivo, operoso. E basterà che essi guardino un pò alla sfera di azione
in cui si muovono, ai loro più chiari interessi, al più probabile e più
immediata venire proprio e dei figli perchè se ne rendano subito conto.
<<Quel che può avvenire di bene o di male all'Italia, per necessità
deve riflettersi su tutti quanti viviamo nei suoi confini e deve toccarci
in ogni punto della nostra attività. E' un illusione, se non
è pure una follia, il credere che qualcuno si possa sottrarre alle conseguenze
dei danni toccati alla Patria, quasi che egli vivesse fuori
di ogni contatto col mondo e con gli uomini che lo circondano. Ciascuno
vivrà la vita più cara o più a buon mercato, troverà più facilmente
o più difficilmente lavoro, vedrà aperto uno sbocco più agevole
o più disagevole alla sua qualsiasi carriera, secondo che la Patria
sarà uscita vittoriosa o umiliata dal conflitto.
<<Potrà sembrare a qualcuno che chi è ricco troverà nella sua
fortuna un riparo che lo metta al coverto da ogni evenienza. E' un
errore. Per il semplici attuale svilimento della moneta la ricchezza
di ciascuno è già ridotta a meno della metà. Se il cambio non discende,
se la circolazione della moneta cartacea non si risana, questi effetti
perdureranno e peggioreranno anche. Se le nostre spese di guerra,
che hanno già sorpassato, in pagamenti, i ventitre miliardi, dovessero
essere pagate da noi anzichè dal nemico, la costa sarebbe certamente
grave. La vittoria, in pieno accordo con i nostri alleati che rappresentano
tanta parte del commercio del mondo, vorrebbe poi dire
un credito più alto e più esteso, un traffico più intenso; mentre un esito
avverso vorrebbe dire il contrario.
<<Può parere ad altri che, se perderà chi ha qualche cosa da perdere,
nulla potrà perdere chi niente ha; a questo si riduce la cinica e vergognosa
esclamazione di quelli che, senza rendersene conto, si dicono
indifferenti anche alla venuta del tedesco, perchè eserciterebbero
ugualmente sotto il tedesco la faticosa opera manuale che ora esercitano
in servigio del connazionale. Se anche si volesse prescindere
da tutto il deplorevole valore morale di una tale affermazione che
nega al lavoratore ogni sensibilità e ogni interesse morale, mettendolo
al livello dell'asino di Esopo, essa resterebbe sempre priva di fondamento,
come tutte le soluzioni semplicistiche e facilone dei fenomeni
più complessi e dei fatti più degni di meditazione.
<<Il caso di un singolo operaio che lavori, in condizioni ordinarie,
nel proprio ambiente, per un connazionale o per uno straniero, può
presentare poca o nessuna differenza. Ma ben altro è il caso di tutta
una classe operaia che debba lavorare e vivere in un paese vinto o dominato.
<<Già in un paese vinto ed esaurito di capitali scarseggerebbe
necessariamente il lavoro. Peggio avviene in un paese dominato.
E mai la cosa si è presentata in forma più tipica di oggi nella guerra
con la Germania.
<<La Germania ha suscitato questa guerra, in fondo, per imporre
col suo dominio politico la sua supremazia industriale e commerciale:
una sua vittoria quindi si risolverebbe massimamente nel monopolizzare,
più che non abbia cercato di fare finora industrie e commerci
a danno dei vinti. E per questo il proletariato e il patito socialista
tedesco hanno fatto causa comune con tutti gli altri partiti
del loro paese. Il proletariato di un paese straniero si troverebbe
quindi nella condizione - se si vuole usare una similitudine figurata -
dello strato inferiore della piramide che deve sostenere tutti
gli altri. E, nel peso da sostenere, vi sarebbe anche il proletariato
tedesco che, per un patto implicito, ha aiutato come più ha potuto il
suo govero durante la guerra, e si ripromette una condizione di
privilegio da una eventuale vittoria.
<<E' un errore anche il credere
-
ma anche intorno a cose della vita pratica, e specialmente
a quelle che oggi sono oggetto dei più sentiti bisogni o lo saranno
domani.
Premesse alcune dichiarazioni su l'amor di patria, fa di questa
una definizione che non potrebb'essere nè più esatta nè più acconocia
alla divulgazione, quando sia fatta fra i più umili con giusto accorgimento.
<<La Patria - dice il chiaro scrittore - è l'orizzonte sempre
dischiuso innanzi alla nostra mente, anche quando non è davanti ai
nostri occhi; è la lingua che parliamo e attraverso la quale possediamo
tutto il patrimonio dei nostri pensieri; è il tesoro di tutte le nostre
memorie, care per la loro gioia e per la stessa loro angoscia; è il
complesso di tutti i nostri più legittimi interessi; è l'organo attraverso
cui viviano la nostra vita civile; è il rifugio di tutte le nostre migliori
speranze.>>
Poi considera i sordi della voce della Patria, e di questi fa due classi:
gli ottusi per intima perversione dello spirito, e i corrotti, gli ambiziosi,
i partigiani, i faziosi, coloro insomma che a tutto antepongono
una qualsiasi cupidigia loro particolare. Di tutti costoro, dice, non vale
la pena di occuparsi. E lo dice perchè sa - come sanno quanti
conoscono intimamente l'anima del popolo italiano - che costoro
sono soltanto un'esigua minoranza.
Rivolgendosi allora alla grande maggioranza che sente, e solo abbisogna
di luce per meglio intendere le cose, egli così parla al paese:
<<Ma ve ne sono - e sono i più - che per la cerchia limitata
della loro esperienza, per l'ambiente angusto in cui hanno vissuto,
per la poca abitudine a riflettere e osservare, pur avendo buone
disposizioni di animo e amore pel paese, non sentono ancora nè
comprendono pienamente per quanti vincoli - a qualunque stato
sociale essi appartengono - la loro vita è congiunta a quella della
Patria per la quale perciò il loro affetto deve divenire effettivo,
attivo, operoso. E basterà che essi guardino un pò alla sfera di azione
in cui si muovono, ai loro più chiari interessi, al più probabile e più
immediata venire proprio e dei figli perchè se ne rendano subito conto.
<<Quel che può avvenire di bene o di male all'Italia, per necessità
deve riflettersi su tutti quanti viviamo nei suoi confini e deve toccarci
in ogni punto della nostra attività. E' un illusione, se non
è pure una follia, il credere che qualcuno si possa sottrarre alle conseguenze
dei danni toccati alla Patria, quasi che egli vivesse fuori
di ogni contatto col mondo e con gli uomini che lo circondano. Ciascuno
vivrà la vita più cara o più a buon mercato, troverà più facilmente
o più difficilmente lavoro, vedrà aperto uno sbocco più agevole
o più disagevole alla sua qualsiasi carriera, secondo che la Patria
sarà uscita vittoriosa o umiliata dal conflitto.
<<Potrà sembrare a qualcuno che chi è ricco troverà nella sua
fortuna un riparo che lo metta al coverto da ogni evenienza. E' un
errore. Per il semplici attuale svilimento della moneta la ricchezza
di ciascuno è già ridotta a meno della metà. Se il cambio non discende,
se la circolazione della moneta cartacea non si risana, questi effetti
perdureranno e peggioreranno anche. Se le nostre spese di guerra,
che hanno già sorpassato, in pagamenti, i ventitre miliardi, dovessero
essere pagate da noi anzichè dal nemico, la costa sarebbe certamente
grave. La vittoria, in pieno accordo con i nostri alleati che rappresentano
tanta parte del commercio del mondo, vorrebbe poi dire
un credito più alto e più esteso, un traffico più intenso; mentre un esito
avverso vorrebbe dire il contrario.
<<Può parere ad altri che, se perderà chi ha qualche cosa da perdere,
nulla potrà perdere chi niente ha; a questo si riduce la cinica e vergognosa
esclamazione di quelli che, senza rendersene conto, si dicono
indifferenti anche alla venuta del tedesco, perchè eserciterebbero
ugualmente sotto il tedesco la faticosa opera manuale che ora esercitano
in servigio del connazionale. Se anche si volesse prescindere
da tutto il deplorevole valore morale di una tale affermazione che
nega al lavoratore ogni sensibilità e ogni interesse morale, mettendolo
al livello dell'asino di Esopo, essa resterebbe sempre priva di fondamento,
come tutte le soluzioni semplicistiche e facilone dei fenomeni
più complessi e dei fatti più degni di meditazione.
<<Il caso di un singolo operaio che lavori, in condizioni ordinarie,
nel proprio ambiente, per un connazionale o per uno straniero, può
presentare poca o nessuna differenza. Ma ben altro è il caso di tutta
una classe operaia che debba lavorare e vivere in un paese vinto o dominato.
<<Già in un paese vinto ed esaurito di capitali scarseggerebbe
necessariamente il lavoro. Peggio avviene in un paese dominato.
E mai la cosa si è presentata in forma più tipica di oggi nella guerra
con la Germania.
<<La Germania ha suscitato questa guerra, in fondo, per imporre
col suo dominio politico la sua supremazia industriale e commerciale:
una sua vittoria quindi si risolverebbe massimamente nel monopolizzare,
-
ma anche intorno a cose della vita pratica, e specialmente
a quelle che oggi sono oggetto dei più sentiti bisogni o lo saranno
domani.
Premesse alcune dichiarazioni su l'amor di patria, fa di questa
una definizione che non potrebb'essere nè più esatta nè più acconocia
alla divulgazione, quando sia fatta fra i più umili con giusto accorgimento.
<<La Patria - dice il chiaro scrittore - è l'orizzonte sempre
dischiuso innanzi alla nostra mente, anche quando non è davanti ai
nostri occhi; è la lingua che parliamo e attraverso la quale possediamo
tutto il patrimonio dei nostri pensieri; è il tesoro di tutte le nostre
memorie, care per la loro gioia e per la stessa loro angoscia; è il
complesso di tutti i nostri più legittimi interessi; è l'organo attraverso
cui viviano la nostra vita civile; è il rifugio di tutte le nostre migliori
speranze.>>
Poi considera i sordi della voce della Patria, e di questi fa due classi:
gli ottusi per intima perversione dello spirito, e i corrotti, gli ambiziosi,
i partigiani, i faziosi, coloro insomma che a tutto antepongono
una qualsiasi cupidigia loro particolare. Di tutti costoro, dice, non vale
la pena di occuparsi. E lo dice perchè sa - come sanno quanti
conoscono intimamente l'anima del popolo italiano - che costoro
sono soltanto un'esigua minoranza.
Rivolgendosi allora alla grande maggioranza che sente, e solo abbisogna
di luce per meglio intendere le cose, egli così parla al paese:
<<Ma ve ne sono - e sono i più - che per la cerchia limitata
della loro esperienza, per l'ambiente angusto in cui hanno vissuto,
per la poca abitudine a riflettere e osservare, pur avendo buone
disposizioni di animo e amore pel paese, non sentono ancora nè
comprendono pienamente per quanti vincoli - a qualunque stato
sociale essi appartengono - la loro vita è congiunta a quella della
Patria per la quale perciò il loro affetto deve divenire effettivo,
attivo, operoso. E basterà che essi guardino un pò alla sfera di azione
in cui si muovono, ai loro più chiari interessi, al più probabile e più
immediata venire proprio e dei figli perchè se ne rendano subito conto.
<<Quel che può avvenire di bene o di male all'Italia, per necessità
deve riflettersi su tutti quanti viviamo nei suoi confini e deve toccarci
in ogni punto della nostra attività. E' un illusione, se non
è pure una follia, il credere che qualcuno si possa sottrarre alle conseguenze
dei danni toccati alla Patria, quasi che egli vivesse fuori
di ogni contatto col mondo e con gli uomini che lo circondano. Ciascuno
vivrà la vita più cara o più a buon mercato, troverà più facilmente
o più difficilmente lavoro, vedrà aperto uno sbocco più agevole
o più disagevole alla sua qualsiasi carriera, secondo che la Patria
sarà uscita vittoriosa o umiliata dal conflitto.
<<Potrà sembrare a qualcuno che chi è ricco troverà nella sua
fortuna un riparo che lo metta al coverto da ogni evenienza. E' un
errore. Per il semplici attuale svilimento della moneta la ricchezza
di ciascuno è già ridotta a meno della metà. Se il cambio non discende,
se la circolazione della moneta cartacea non si risana, questi effetti
perdureranno e peggioreranno anche. Se le nostre spese di guerra,
che hanno già sorpassato, in pagamenti, i ventitre miliardi, dovessero
essere pagate da noi anzichè dal nemico, la costa sarebbe certamente
grave. La vittoria, in pieno accordo con i nostri alleati che rappresentano
tanta parte del commercio del mondo,
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