Propaganda di guerra. Estratto del Bollettino della R. Società Geografica Italiana, (25 novembre 1917), n. 1

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La vita degli Italiani nella guerra

   Sotto questo titolo riproduciamo, togliendolo dal Corriere della Sera del 10 novembre, il magnifico e sopra tutto efficacissimo articolo del prof. Luigi Einaudi, nel quale con «La realtà in cifre» dimostra, in forma che tutti possono intendere, come la vita materiale del nostro paese si svolga oggi in assoluta dipendenza dell'alleanza politica alla quale volontariamente ci siamo associati, e come codesta dipendenza abbia originie, oltrechè dalla limitata capacità produttiva del suolo italiano, per estensione e per attitudine a produrre, dalla singolarità della nostra posizione geografica, per la quale le nostre importazioni si fanno in massima parte per mare.

   Il chiaro professore Einaudi, volgarizzatore sommo di utilissime nozioni che si riferiscono alla vita economica del paese, fa, in questo suo scritto, in pochi tratti, un quadro esatto delle attuali condizioni d'esistenza dell'Italia nostra, dal punto di vista capitale della nutrizione, della vestizione, del lavoro dipendente delle industrie produttrici di generi di assoluta necessità, ecc., ecc. Quel quadro ci mostra due cose, non nuove certamente, ma che purtroppo erano da molti considerate con indifferenza prima che le strettoie del bisogno vi richiamassero l'attenzione loro. Prima cosa il fatto che gl'Italiani, per vivere, hanno bisogno di portare in casa, prelevando dai mercati stranieri, quantità ingenti di generi di prima necessità, grezzi o lavorati, rispetto alle quali la produzione nazionale fu sempre molto esigua; seconda cosa, che la massima parte delle importazioni facendosi via mare, il tonnellaggio di naviglio mercantile necessario ai nostri rifornimenti è anch'esso in grandissima parte fornito dalle marine straniere. In tempo di pace, questi fatti, pur essendo stati in mille guise diverse e quasi diuturnamente delle classi che potevano intenderne la portata, e promuovere un miglioramento sia negli scambi coi mercati esteri sia nei trasporti sotto bandiera nazionale, o dare opera ad intensificare, dove pur sarebbe stato possibile, la produzione nazionale; ma oggi, mentre dura questa immane guerra, la nozione di questi fatti, la spiegazione del loro significato, fatta in forma semplice, con riferimento agli effetti pratici immediati o prossimi, deve essere diffusa tra le masse, in mezzo al popolo non uso a preoccuparsene perchè nessuno si dette mai la cura di istruirlo in proposito.

   Chi mai, infatti, si curava di far sapere alle classi che oggi chiamansi proletarie, che il riso onde fanno spesso il pasto familiare, non era tutto delle risaie di Lomellina o del Ferrarese, ma che molto ne veniva  pag. 3 dall'Oriente Asiatico; che il frumento per fare il pane era in massima parte americano; che le lane per vestirsi venivano dall'Australia o dall'America; che insomma una grandissima parte di questi generi non si produceva in casa? Quanti tra gli umili e laboriosi nostri lavoratori d'ogni specie, quante delle loro donne avevano un'idea, sia pur vaga, di questa nostra servitù economica? E quanti l'hanno ora dell'aggravamento di questa servitù per il fatto della guerra? Non già nel senso che non ne sentano il disagio, ma in quello che ad attenuarlo, per resistere, una sola cosa vale: proseguire la guerra e proseguire sempre più stretta l'unione coi nostri Alleati? Quanti, d'ogni classe di cittadini, hanno pensato seriamente alle ragioni che gli alleati nostri avrebbero di abbandonarci al nostro destino {DASH} che sarebbe, come ben dice il prof. Einaudi « non solo l'onta e la vergogna, ma la fame e la carestia » {DASH} se abbandonassimo la grande partita che insieme con loro giochiamo per la vita?

   Queste nozioni e molte altre simili urge divulgare un po' dappertutto, illustrandole con esempi di pratica applicazione ai singoli casi, luoghi e bisogni particolari; questo possono fare coloro tra i membri della nostra famiglia che risponderanno all'invito della Presidenza per quest'opera di pubblica salute alla quale ci invitano la Patria e il Re.

   Ed ecco, ora, la parola al prof. Einaudi per esporci


La realtà in cifre.

   L'onore e la dignità della nazione, la fedeltà alle alleanze volontariamente conchiuse, la voce dei nostri morti del Carso e dell'Isonzo hanno già stretto tutti gli Italiani nel patto solenne di resistenza al nemico. A coloro, i quali non sentono il comando del dovere e vogliono la parola della realtà, fa d'uopo aggiungere che, se, per ipotesi assurda, l'Italia volesse, per stanchezza momentanea, abbandonare il campo, essa si gitterebbe in un abisso di miseria e di strettezze economiche senza nome.

   Fa d'uopo guardare in faccia la realtà; e questa ci dice che gli Alleati nostri non hanno nessun obbligo, nè morale nè materiale, di privare se stessi di cose necessarie alla vita, di rinunciare ad un tonnellaggio che ogni giorni per essi medesimi va diventando più scarso per sovvenire ai bisogni di un paese divenuto indifferente alla loro causa, spettatore della lotta a coltello che si combatte tra essi ed i nemici. Non si hanno, per il tonnellaggio, cifre posteriori al 1913, ultimo anno di pace; ma in quell'anno su 16,3 milioni di merci sbarcate in Italia dall'estero, soltanto 4,3 milioni erano state trasportate dalla bandiera italiana. Tutto il resto era venuto su navi battenti bandiera estera. Su 2.324.840 tonn. di cereali importati in quell'anno nei porti italiani, soltatnto 754.700 erano state trasportate dalla bandiera italiana; e della parte residua ben 682.500 tonn. dalla bandiera inglese e 416.000 dalla bandiera ellenica. Su 10.196.930 tonn. di carbone, solo 1.878.900 erano venute su navi italiane; 4.016.130 su navi

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La vita degli Italiani nella guerra

   Sotto questo titolo riproduciamo, togliendolo dal Corriere della Sera del 10 novembre, il magnifico e sopra tutto efficacissimo articolo del prof. Luigi Einaudi, nel quale con «La realtà in cifre» dimostra, in forma che tutti possono intendere, come la vita materiale del nostro paese si svolga oggi in assoluta dipendenza dell'alleanza politica alla quale volontariamente ci siamo associati, e come codesta dipendenza abbia originie, oltrechè dalla limitata capacità produttiva del suolo italiano, per estensione e per attitudine a produrre, dalla singolarità della nostra posizione geografica, per la quale le nostre importazioni si fanno in massima parte per mare.

   Il chiaro professore Einaudi, volgarizzatore sommo di utilissime nozioni che si riferiscono alla vita economica del paese, fa, in questo suo scritto, in pochi tratti, un quadro esatto delle attuali condizioni d'esistenza dell'Italia nostra, dal punto di vista capitale della nutrizione, della vestizione, del lavoro dipendente delle industrie produttrici di generi di assoluta necessità, ecc., ecc. Quel quadro ci mostra due cose, non nuove certamente, ma che purtroppo erano da molti considerate con indifferenza prima che le strettoie del bisogno vi richiamassero l'attenzione loro. Prima cosa il fatto che gl'Italiani, per vivere, hanno bisogno di portare in casa, prelevando dai mercati stranieri, quantità ingenti di generi di prima necessità, grezzi o lavorati, rispetto alle quali la produzione nazionale fu sempre molto esigua; seconda cosa, che la massima parte delle importazioni facendosi via mare, il tonnellaggio di naviglio mercantile necessario ai nostri rifornimenti è anch'esso in grandissima parte fornito dalle marine straniere. In tempo di pace, questi fatti, pur essendo stati in mille guise diverse e quasi diuturnamente delle classi che potevano intenderne la portata, e promuovere un miglioramento sia negli scambi coi mercati esteri sia nei trasporti sotto bandiera nazionale, o dare opera ad intensificare, dove pur sarebbe stato possibile, la produzione nazionale; ma oggi, mentre dura questa immane guerra, la nozione di questi fatti, la spiegazione del loro significato, fatta in forma semplice, con riferimento agli effetti pratici immediati o prossimi, deve essere diffusa tra le masse, in mezzo al popolo non uso a preoccuparsene perchè nessuno si dette mai la cura di istruirlo in proposito.

   Chi mai, infatti, si curava di far sapere alle classi che oggi chiamansi proletarie, che il riso onde fanno spesso il pasto familiare, non era tutto delle risaie di Lomellina o del Ferrarese, ma che molto ne veniva  pag. 3 dall'Oriente Asiatico; che il frumento per fare il pane era in massima parte americano; che le lane per vestirsi venivano dall'Australia o dall'America; che insomma una grandissima parte di questi generi non si produceva in casa? Quanti tra gli umili e laboriosi nostri lavoratori d'ogni specie, quante delle loro donne avevano un'idea, sia pur vaga, di questa nostra servitù economica? E quanti l'hanno ora dell'aggravamento di questa servitù per il fatto della guerra? Non già nel senso che non ne sentano il disagio, ma in quello che ad attenuarlo, per resistere, una sola cosa vale: proseguire la guerra e proseguire sempre più stretta l'unione coi nostri Alleati? Quanti, d'ogni classe di cittadini, hanno pensato seriamente alle ragioni che gli alleati nostri avrebbero di abbandonarci al nostro destino {DASH} che sarebbe, come ben dice il prof. Einaudi « non solo l'onta e la vergogna, ma la fame e la carestia » {DASH} se abbandonassimo la grande partita che insieme con loro giochiamo per la vita?

   Queste nozioni e molte altre simili urge divulgare un po' dappertutto, illustrandole con esempi di pratica applicazione ai singoli casi, luoghi e bisogni particolari; questo possono fare coloro tra i membri della nostra famiglia che risponderanno all'invito della Presidenza per quest'opera di pubblica salute alla quale ci invitano la Patria e il Re.

   Ed ecco, ora, la parola al prof. Einaudi per esporci


La realtà in cifre.

   L'onore e la dignità della nazione, la fedeltà alle alleanze volontariamente conchiuse, la voce dei nostri morti del Carso e dell'Isonzo hanno già stretto tutti gli Italiani nel patto solenne di resistenza al nemico. A coloro, i quali non sentono il comando del dovere e vogliono la parola della realtà, fa d'uopo aggiungere che, se, per ipotesi assurda, l'Italia volesse, per stanchezza momentanea, abbandonare il campo, essa si gitterebbe in un abisso di miseria e di strettezze economiche senza nome.

   Fa d'uopo guardare in faccia la realtà; e questa ci dice che gli Alleati nostri non hanno nessun obbligo, nè morale nè materiale, di privare se stessi di cose necessarie alla vita, di rinunciare ad un tonnellaggio che ogni giorni per essi medesimi va diventando più scarso per sovvenire ai bisogni di un paese divenuto indifferente alla loro causa, spettatore della lotta a coltello che si combatte tra essi ed i nemici. Non si hanno, per il tonnellaggio, cifre posteriori al 1913, ultimo anno di pace; ma in quell'anno su 16,3 milioni di merci sbarcate in Italia dall'estero, soltanto 4,3 milioni erano state trasportate dalla bandiera italiana. Tutto il resto era venuto su navi battenti bandiera estera. Su 2.324.840 tonn. di cereali importati in quell'anno nei porti italiani, soltatnto 754.700 erano state trasportate dalla bandiera italiana; e della parte residua ben 682.500 tonn. dalla bandiera inglese e 416.000 dalla bandiera ellenica. Su 10.196.930 tonn. di carbone, solo 1.878.900 erano venute su navi italiane; 4.016.130 su navi


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  • October 28, 2018 19:15:53 Sara Fresi

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    La vita degli Italiani nella guerra

       Sotto questo titolo riproduciamo, togliendolo dal Corriere della Sera del 10 novembre, il magnifico e sopra tutto efficacissimo articolo del prof. Luigi Einaudi, nel quale con «La realtà in cifre» dimostra, in forma che tutti possono intendere, come la vita materiale del nostro paese si svolga oggi in assoluta dipendenza dell'alleanza politica alla quale volontariamente ci siamo associati, e come codesta dipendenza abbia originie, oltrechè dalla limitata capacità produttiva del suolo italiano, per estensione e per attitudine a produrre, dalla singolarità della nostra posizione geografica, per la quale le nostre importazioni si fanno in massima parte per mare.

       Il chiaro professore Einaudi, volgarizzatore sommo di utilissime nozioni che si riferiscono alla vita economica del paese, fa, in questo suo scritto, in pochi tratti, un quadro esatto delle attuali condizioni d'esistenza dell'Italia nostra, dal punto di vista capitale della nutrizione, della vestizione, del lavoro dipendente delle industrie produttrici di generi di assoluta necessità, ecc., ecc. Quel quadro ci mostra due cose, non nuove certamente, ma che purtroppo erano da molti considerate con indifferenza prima che le strettoie del bisogno vi richiamassero l'attenzione loro. Prima cosa il fatto che gl'Italiani, per vivere, hanno bisogno di portare in casa, prelevando dai mercati stranieri, quantità ingenti di generi di prima necessità, grezzi o lavorati, rispetto alle quali la produzione nazionale fu sempre molto esigua; seconda cosa, che la massima parte delle importazioni facendosi via mare, il tonnellaggio di naviglio mercantile necessario ai nostri rifornimenti è anch'esso in grandissima parte fornito dalle marine straniere. In tempo di pace, questi fatti, pur essendo stati in mille guise diverse e quasi diuturnamente delle classi che potevano intenderne la portata, e promuovere un miglioramento sia negli scambi coi mercati esteri sia nei trasporti sotto bandiera nazionale, o dare opera ad intensificare, dove pur sarebbe stato possibile, la produzione nazionale; ma oggi, mentre dura questa immane guerra, la nozione di questi fatti, la spiegazione del loro significato, fatta in forma semplice, con riferimento agli effetti pratici immediati o prossimi, deve essere diffusa tra le masse, in mezzo al popolo non uso a preoccuparsene perchè nessuno si dette mai la cura di istruirlo in proposito.

       Chi mai, infatti, si curava di far sapere alle classi che oggi chiamansi proletarie, che il riso onde fanno spesso il pasto familiare, non era tutto delle risaie di Lomellina o del Ferrarese, ma che molto ne veniva  pag. 3 dall'Oriente Asiatico; che il frumento per fare il pane era in massima parte americano; che le lane per vestirsi venivano dall'Australia o dall'America; che insomma una grandissima parte di questi generi non si produceva in casa? Quanti tra gli umili e laboriosi nostri lavoratori d'ogni specie, quante delle loro donne avevano un'idea, sia pur vaga, di questa nostra servitù economica? E quanti l'hanno ora dell'aggravamento di questa servitù per il fatto della guerra? Non già nel senso che non ne sentano il disagio, ma in quello che ad attenuarlo, per resistere, una sola cosa vale: proseguire la guerra e proseguire sempre più stretta l'unione coi nostri Alleati? Quanti, d'ogni classe di cittadini, hanno pensato seriamente alle ragioni che gli alleati nostri avrebbero di abbandonarci al nostro destino {DASH} che sarebbe, come ben dice il prof. Einaudi « non solo l'onta e la vergogna, ma la fame e la carestia » {DASH} se abbandonassimo la grande partita che insieme con loro giochiamo per la vita?

       Queste nozioni e molte altre simili urge divulgare un po' dappertutto, illustrandole con esempi di pratica applicazione ai singoli casi, luoghi e bisogni particolari; questo possono fare coloro tra i membri della nostra famiglia che risponderanno all'invito della Presidenza per quest'opera di pubblica salute alla quale ci invitano la Patria e il Re.

       Ed ecco, ora, la parola al prof. Einaudi per esporci


    La realtà in cifre.

       L'onore e la dignità della nazione, la fedeltà alle alleanze volontariamente conchiuse, la voce dei nostri morti del Carso e dell'Isonzo hanno già stretto tutti gli Italiani nel patto solenne di resistenza al nemico. A coloro, i quali non sentono il comando del dovere e vogliono la parola della realtà, fa d'uopo aggiungere che, se, per ipotesi assurda, l'Italia volesse, per stanchezza momentanea, abbandonare il campo, essa si gitterebbe in un abisso di miseria e di strettezze economiche senza nome.

       Fa d'uopo guardare in faccia la realtà; e questa ci dice che gli Alleati nostri non hanno nessun obbligo, nè morale nè materiale, di privare se stessi di cose necessarie alla vita, di rinunciare ad un tonnellaggio che ogni giorni per essi medesimi va diventando più scarso per sovvenire ai bisogni di un paese divenuto indifferente alla loro causa, spettatore della lotta a coltello che si combatte tra essi ed i nemici. Non si hanno, per il tonnellaggio, cifre posteriori al 1913, ultimo anno di pace; ma in quell'anno su 16,3 milioni di merci sbarcate in Italia dall'estero, soltanto 4,3 milioni erano state trasportate dalla bandiera italiana. Tutto il resto era venuto su navi battenti bandiera estera. Su 2.324.840 tonn. di cereali importati in quell'anno nei porti italiani, soltatnto 754.700 erano state trasportate dalla bandiera italiana; e della parte residua ben 682.500 tonn. dalla bandiera inglese e 416.000 dalla bandiera ellenica. Su 10.196.930 tonn. di carbone, solo 1.878.900 erano venute su navi italiane; 4.016.130 su navi

  • October 28, 2018 19:15:46 Sara Fresi
  • August 6, 2017 17:46:10 Dario Manzotti

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    La vita degli Italiani nella guerra

       Sotto questo titolo riproduciamo, togliendolo dal Corriere della Sera del 10 novembre, il magnifico e sopra tutto efficacissimo articolo del prof. Luigi Einaudi, nel quale con «La realtà in cifre» dimostra, in forma che tutti possono intendere, come la vita materiale del nostro paese si svolga oggi in assoluta dipendenza dell'alleanza politica alla quale volontariamente ci siamo associati, e come codesta dipendenza abbia originie, oltrechè dalla limitata capacità produttiva del suolo italiano, per estensione e per attitudine a produrre, dalla singolarità della nostra posizione geografica, per la quale le nostre importazioni si fanno in massima parte per mare.

       Il chiaro professore Einaudi, volgarizzatore sommo di utilissime nozioni che si riferiscono alla vita economica del paese, fa, in questo suo scritto, in pochi tratti, un quadro esatto delle attuali condizioni d'esistenza dell'Italia nostra, dal punto di vista capitale della nutrizione, della vestizione, del lavoro dipendente delle industrie produttrici di generi di assoluta necessità, ecc., ecc. Quel quadro ci mostra due cose, non nuove certamente, ma che purtroppo erano da molti considerate con indifferenza prima che le strettoie del bisogno vi richiamassero l'attenzione loro. Prima cosa il fatto che gl'Italiani, per vivere, hanno bisogno di portare in casa, prelevando dai mercati stranieri, quantità ingenti di generi di prima necessità, grezzi o lavorati, rispetto alle quali la produzione nazionale fu sempre molto esigua; seconda cosa, che la massima parte delle importazioni facendosi via mare, il tonnellaggio di naviglio mercantile necessario ai nostri rifornimenti è anch'esso in grandissima parte fornito dalle marine straniere. In tempo di pace, questi fatti, pur essendo stati in mille guise diverse e quasi diuturnamente delle classi che potevano intenderne la portata, e promuovere un miglioramento sia negli scambi coi mercati esteri sia nei trasporti sotto bandiera nazionale, o dare opera ad intensificare, dove pur sarebbe stato possibile, la produzione nazionale; ma oggi, mentre dura questa immane guerra, la nozione di questi fatti, la spiegazione del loro significato, fatta in forma semplice, con riferimento agli effetti pratici immediati o prossimi, deve essere diffusa tra le masse, in mezzo al popolo non uso a preoccuparsene perchè nessuno si dette mai la cura di istruirlo in proposito.

       Chi mai, infatti, si curava di far sapere alle classi che oggi chiamansi proletarie, che il riso onde fanno spesso il pasto familiare, non era tutto delle risaie di Lomellina o del Ferrarese, ma che molto ne veniva  pag. 3 dall'Oriente Asiatico; che il frumento per fare il pane era in massima parte americano; che le lane per vestirsi venivano dall'Australia o dall'America; che insomma una grandissima parte di questi generi non si produceva in casa? Quanti tra gli umili e laboriosi nostri lavoratori d'ogni specie, quante delle loro donne avevano un'idea, sia pur vaga, di questa nostra servitù economica? E quanti l'hanno ora dell'aggravamento di questa servitù per il fatto della guerra? Non già nel senso che non ne sentano il disagio, ma in quello che ad attenuarlo, per resistere, una sola cosa vale: proseguire la guerra e proseguire sempre più stretta l'unione coi nostri Alleati? Quanti, d'ogni classe di cittadini, hanno pensato seriamente alle ragioni che gli alleati nostri avrebbero di abbandonarci al nostro destino {DASH} che sarebbe, come ben dice il prof. Einaudi « non solo l'onta e la vergogna, ma la fame e la carestia » {DASH} se abbandonassimo la grande partita che insieme con loro giochiamo per la vita?

       Queste nozioni e molte altre simili urge divulgare un po' dappertutto, illustrandole con esempi di pratica applicazione ai singoli casi, luoghi e bisogni particolari; questo possono fare coloro tra i membri della nostra famiglia che risponderanno all'invito della Presidenza per quest'opera di pubblica salute alla quale ci invitano la Patria e il Re.

       Ed ecco, ora, la parola al prof. Einaudi per esporci


    La realtà in cifre.

       L'onore e la dignità della nazione, la fedeltà alle alleanze volontariamente conchiuse, la voce dei nostri morti del Carso e dell'Isonzo hanno già stretto tutti gli Italiani nel patto solenne di resistenza al nemico. A coloro, i quali non sentono il comando del dovere e vogliono la parola della realtà, fa d'uopo aggiungere che, se, per ipotesi assurda, l'Italia volesse, per stanchezza momentanea, abbandonare il campo, essa si gitterebbe in un abisso di miseria e di strettezze economiche senza nome.

       Fa d'uopo guardare in faccia la realtà; e questa ci dice che gli Alleati nostri non hanno nessun obbligo, nè morale nè materiale, di privare se stessi di cose necessarie alla vita, di rinunciare ad un tonnellaggio che ogni giorni per essi medesimi va diventando più scarso per sovvenire ai bisogni di un paese divenuto indifferente alla loro causa, spettatore della lotta a coltello che si combatte tra essi ed i nemici. Non si hanno, per il tonnellaggio, cifre posteriori al 1913, ultimo anno di pace; ma in quell'anno su 16,3 milioni di merci sbarcate in Italia dall'estero, soltanto 4,3 milioni erano state trasportate dalla bandiera italiana. Tutto il resto era venuto su navi battenti bandiera estera. Su 2.324.840 tonn. di cereali importati in quell'anno nei porti italiani, soltatnto 754.700 erano state trasportate dalla bandiera italiana; e della parte residua ben 682.500 tonn. dalla bandiera inglese e 416.000 dalla bandiera ellenica. Su 10.196.930 tonn. di carbone, solo 1.878.900 erano venute su navi italiane; 4.016.130 su navi


  • July 7, 2017 22:30:04 Dario Manzotti

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    La vita degli Italiani nella guerra

       Sotto questo titolo riproduciamo, togliendolo dal Corriere della Sera del 10 novembre, il magnifico e sopra tutto efficacissimo articolo del prof. Luigi Einaudi, nel quale con «La realtà in cifre» dimostra, in forma che tutti possono intendere, come la vita materiale del nostro paese si svolga oggi in assoluta dipendenza dell'alleanza politica alla quale volontariamente ci siamo associati, e come codesta dipendenza abbia originie, oltrechè dalla limitata capacità produttiva del suolo italiano, per estensione e per attitudine a produrre, dalla singolarità della nostra posizione geografica, per la quale le nostre importazioni si fanno in massima parte per mare.

       Il chiaro professore Einaudi, volgarizzatore sommo di utilissime nozioni che si riferiscono alla vita economica del paese, fa, in questo suo scritto, in pochi tratti, un quadro esatto delle attuali condizioni d'esistenza dell'Italia nostra, dal punto di vista capitale della nutrizione, della vestizione, del lavoro dipendente delle industrie produttrici di generi di assoluta necessità, ecc., ecc. Quel quadro ci mostra due cose, non nuove certamente, ma che purtroppo erano da molti considerate con indifferenza prima che le strettoie del bisogno vi richiamassero l'attenzione loro. Prima cosa il fatto che gl'Italiani, per vivere, hanno bisogno di portare in casa, prelevando dai mercati stranieri, quantità ingenti di generi di prima necessità, grezzi o lavorati, rispetto alle quali la produzione nazionale fu sempre molto esigua; seconda cosa, che la massima parte delle importazioni facendosi via mare, il tonnellaggio di naviglio mercantile necessario ai nostri rifornimenti è anch'esso in grandissima parte fornito dalle marine straniere. In tempo di pace, questi fatti, pur essendo stati in mille guise diverse e quasi diuturnamente delle classi che potevano intenderne la portata, e promuovere un miglioramento sia negli scambi coi mercati esteri sia nei trasporti sotto bandiera nazionale, o dare opera ad intensificare, dove pur sarebbe stato possibile, la produzione nazionale; ma oggi, mentre dura questa immane guerra, la nozione di questi fatti, la spiegazione del loro significato, fatta in forma semplice, con riferimento agli effetti pratici immediati o prossimi, deve essere diffusa tra le masse, in mezzo al popolo non uso a preoccuparsene perchè nessuno si dette mai la cura di istruirlo in proposito.

       Chi mai, infatti, si curava di far sapere alle classi che oggi chiamansi proletarie, che il riso onde fanno spesso il pasto familiare, non era tutto delle risaie di Lomellina o del Ferrarese, ma che molto ne veniva  pag. 3 dall'Oriente Asiatico;


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