Rivista "La Guerra Italiana". N. 20

Edit transcription:
...
Transcription saved
Enhance your transcribing experience by using full-screen mode

Transcription

You have to be logged in to transcribe. Please login or register and click the pencil-button again

 pag. 314 

PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

La prima medaglia d'oro.

   Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9ᵃ compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

   La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

   « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

   « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè le fatiche, nè i pericoli, nè la fame, nè la sete, nè le vigilie, nè i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

   Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

   Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

  * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

   Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

   Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

   Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).

 foto - La consegna della medaglia al valore ad un valoroso, il caporale Chiappa Luigi (vedi pag. 198). 

 pag. 315 

Due episodi.

   Le truppe ricordano — scrive Luigi Barzini — senza tristezza i loro eroi caduti. Ne raccontano le gesta, con semplicità. Episodi magnifici e senza numero. Una notte, nella seconda fase delle operazioni, dopo la conquista, un caporale si offrì volontario per andare a far saltare una mitragliatrice troppo molesta. «Ma è impossibile!» — dicevano i più temerarî. Egli si ostinò, e uscì dalla trincea, spingendo avanti il tubo esplosivo.

Arrivò, sotto al fuoco, a metterlo a due o tre metri dalla mitragliatrice; arrivò ad accendere la miccia. Lo zampillare delle scintille permise al nome di dirigere meglio il tiro della mitragliatrice stessa, l'eroe crivellato si accasciò e abbattendosi spezzò la miccia accesa, l'esplosione mancò. I soldati decretarono al morto la sepoltura d'onore, ed egli dorme nel centro del piccolo cimitero, sotto ad un tumulo più alto e più solenne.

   In una compagnia combatteva un volontario dai baffi bianchi. Aveva sessant'anni, era soldato semplice. Si era arruolato per seguire alla guerra il suo figliuolo e servivano nella stessa compagnia, non si lasciavano mai. Si vedevano sempre nelle marce quei due soldati vicini, così diversi e così somiglianti, entrambi animati dallo stesso entusiasmo.

   Forse anche in quell'allacciamento perpetuo di vita vi era un impulso misterioso di addio: nel combattimento, sempre in prima linea, erano sempre avanti, spalla a spalla. Durante l'avanzata su Zagora, l'8 agosto, il figlio cadde mortalmente ferito.

   Il padre gettò il fucile e si slanciò a sorreggere il morente. Intorno i soldati delle seconde linee passavano di corsa. Qualcuno si fermò un istante presso a quel gruppo. Il vecchio compagno era adorato. Egli, deposto dolcemente a terra il ferito, gli sorreggeva la testa e s'insanguinava la mano tremante per sbottonarlo e cercare la piaga. Poi, con uno scatto, sollevò la faccia pallida, calma, solenne, sclamando: «Ma perchè non l'ho avuta io?». In quell'istante una palla lo colpì sulla tempia.

   Il vecchio volontario si rovesciò sul figlio. La morte li riuniva per sempre.

NELL'ADRIATICO

L'esplosione sulla “Benedetto Brin”

(27 settembre).

   Alle ore otto del mattino una terribile esplosione scosse la città di Brindisi nel cui porto stava ancorata, con altre navi, la corazzata Benedetto Brin. Sulle prime nessuno seppe rendersi conto dell'accaduto, ma quando una densa colonna di fumo cominciò lentamente ad innalzarsi dal porto, si pensò subito che un incendio doveva essere scoppiato a bordo di una delle navi e da tutte le parti fu un accorrere affannoso verso la marina, mentre dalle navi si staccavano rapidamente innumerevoli barche per portare aiuto ai pericolanti.

   La Benedetto Brin era all'àncora nell'avamporto, distante forse due chilometri dalla riva, e fu per puro caso se non era venuta ad attraccare alla banchina: questa sua posizione d'ancoraggio limitò la sciagura, perchè, se lo scoppio fosse avvenuto sulla banchina, avrebbe avuto conseguenze e proporzioni ancora maggiori e forse la città avrebbe subìto danni non lievi.

Quando parte del fumo si fu diradata, uno spettacolo tragico si offerse alla vista della folla che aveva coronato le alture del porto: al posto dov'era la Brin non si scorgeva altro che un immenso rudero nerastro di nave: tutta la parte poppiera ove erano gli alloggi degli ufficiali era scomparsa, asportata dall'esplosione immane della Santa Barbara di poppa; intorno galleggiavano rottami e cadaveri e dalle acque emergevano sfasciate le torri blindate e tutto il mare appariva agitato come per terremoto.

   Erano a bordo della nave 780 marinai, con 34 ufficiali che rimasero in gran parte o uccisi o feriti; perdite gravi, infatti, subì l'ufficialità, restando morti, fra gli altri, il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, e il comandante della nave, capitano di vascello Gino Fara Forni, di Novara.

   Il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, di 55 anni, era stato promosso da capitano di vascello all'attuale grado da due anni; venne insignito

 foto - La corazzata Benedetto Brin. 

Transcription saved

 pag. 314 

PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

La prima medaglia d'oro.

   Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9ᵃ compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

   La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

   « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

   « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè le fatiche, nè i pericoli, nè la fame, nè la sete, nè le vigilie, nè i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

   Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

   Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

  * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

   Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

   Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

   Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).

 foto - La consegna della medaglia al valore ad un valoroso, il caporale Chiappa Luigi (vedi pag. 198). 

 pag. 315 

Due episodi.

   Le truppe ricordano — scrive Luigi Barzini — senza tristezza i loro eroi caduti. Ne raccontano le gesta, con semplicità. Episodi magnifici e senza numero. Una notte, nella seconda fase delle operazioni, dopo la conquista, un caporale si offrì volontario per andare a far saltare una mitragliatrice troppo molesta. «Ma è impossibile!» — dicevano i più temerarî. Egli si ostinò, e uscì dalla trincea, spingendo avanti il tubo esplosivo.

Arrivò, sotto al fuoco, a metterlo a due o tre metri dalla mitragliatrice; arrivò ad accendere la miccia. Lo zampillare delle scintille permise al nome di dirigere meglio il tiro della mitragliatrice stessa, l'eroe crivellato si accasciò e abbattendosi spezzò la miccia accesa, l'esplosione mancò. I soldati decretarono al morto la sepoltura d'onore, ed egli dorme nel centro del piccolo cimitero, sotto ad un tumulo più alto e più solenne.

   In una compagnia combatteva un volontario dai baffi bianchi. Aveva sessant'anni, era soldato semplice. Si era arruolato per seguire alla guerra il suo figliuolo e servivano nella stessa compagnia, non si lasciavano mai. Si vedevano sempre nelle marce quei due soldati vicini, così diversi e così somiglianti, entrambi animati dallo stesso entusiasmo.

   Forse anche in quell'allacciamento perpetuo di vita vi era un impulso misterioso di addio: nel combattimento, sempre in prima linea, erano sempre avanti, spalla a spalla. Durante l'avanzata su Zagora, l'8 agosto, il figlio cadde mortalmente ferito.

   Il padre gettò il fucile e si slanciò a sorreggere il morente. Intorno i soldati delle seconde linee passavano di corsa. Qualcuno si fermò un istante presso a quel gruppo. Il vecchio compagno era adorato. Egli, deposto dolcemente a terra il ferito, gli sorreggeva la testa e s'insanguinava la mano tremante per sbottonarlo e cercare la piaga. Poi, con uno scatto, sollevò la faccia pallida, calma, solenne, sclamando: «Ma perchè non l'ho avuta io?». In quell'istante una palla lo colpì sulla tempia.

   Il vecchio volontario si rovesciò sul figlio. La morte li riuniva per sempre.

NELL'ADRIATICO

L'esplosione sulla “Benedetto Brin”

(27 settembre).

   Alle ore otto del mattino una terribile esplosione scosse la città di Brindisi nel cui porto stava ancorata, con altre navi, la corazzata Benedetto Brin. Sulle prime nessuno seppe rendersi conto dell'accaduto, ma quando una densa colonna di fumo cominciò lentamente ad innalzarsi dal porto, si pensò subito che un incendio doveva essere scoppiato a bordo di una delle navi e da tutte le parti fu un accorrere affannoso verso la marina, mentre dalle navi si staccavano rapidamente innumerevoli barche per portare aiuto ai pericolanti.

   La Benedetto Brin era all'àncora nell'avamporto, distante forse due chilometri dalla riva, e fu per puro caso se non era venuta ad attraccare alla banchina: questa sua posizione d'ancoraggio limitò la sciagura, perchè, se lo scoppio fosse avvenuto sulla banchina, avrebbe avuto conseguenze e proporzioni ancora maggiori e forse la città avrebbe subìto danni non lievi.

Quando parte del fumo si fu diradata, uno spettacolo tragico si offerse alla vista della folla che aveva coronato le alture del porto: al posto dov'era la Brin non si scorgeva altro che un immenso rudero nerastro di nave: tutta la parte poppiera ove erano gli alloggi degli ufficiali era scomparsa, asportata dall'esplosione immane della Santa Barbara di poppa; intorno galleggiavano rottami e cadaveri e dalle acque emergevano sfasciate le torri blindate e tutto il mare appariva agitato come per terremoto.

   Erano a bordo della nave 780 marinai, con 34 ufficiali che rimasero in gran parte o uccisi o feriti; perdite gravi, infatti, subì l'ufficialità, restando morti, fra gli altri, il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, e il comandante della nave, capitano di vascello Gino Fara Forni, di Novara.

   Il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, di 55 anni, era stato promosso da capitano di vascello all'attuale grado da due anni; venne insignito

 foto - La corazzata Benedetto Brin. 


Transcription history
  • October 22, 2018 09:13:59 Sara Fresi

     pag. 314 

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9ᵃ compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

       « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè le fatiche, nè i pericoli, nè la fame, nè la sete, nè le vigilie, nè i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

       Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

       Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

      * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

       Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

       Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

       Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).

     foto - La consegna della medaglia al valore ad un valoroso, il caporale Chiappa Luigi (vedi pag. 198). 

     pag. 315 

    Due episodi.

       Le truppe ricordano — scrive Luigi Barzini — senza tristezza i loro eroi caduti. Ne raccontano le gesta, con semplicità. Episodi magnifici e senza numero. Una notte, nella seconda fase delle operazioni, dopo la conquista, un caporale si offrì volontario per andare a far saltare una mitragliatrice troppo molesta. «Ma è impossibile!» — dicevano i più temerarî. Egli si ostinò, e uscì dalla trincea, spingendo avanti il tubo esplosivo.

    Arrivò, sotto al fuoco, a metterlo a due o tre metri dalla mitragliatrice; arrivò ad accendere la miccia. Lo zampillare delle scintille permise al nome di dirigere meglio il tiro della mitragliatrice stessa, l'eroe crivellato si accasciò e abbattendosi spezzò la miccia accesa, l'esplosione mancò. I soldati decretarono al morto la sepoltura d'onore, ed egli dorme nel centro del piccolo cimitero, sotto ad un tumulo più alto e più solenne.

       In una compagnia combatteva un volontario dai baffi bianchi. Aveva sessant'anni, era soldato semplice. Si era arruolato per seguire alla guerra il suo figliuolo e servivano nella stessa compagnia, non si lasciavano mai. Si vedevano sempre nelle marce quei due soldati vicini, così diversi e così somiglianti, entrambi animati dallo stesso entusiasmo.

       Forse anche in quell'allacciamento perpetuo di vita vi era un impulso misterioso di addio: nel combattimento, sempre in prima linea, erano sempre avanti, spalla a spalla. Durante l'avanzata su Zagora, l'8 agosto, il figlio cadde mortalmente ferito.

       Il padre gettò il fucile e si slanciò a sorreggere il morente. Intorno i soldati delle seconde linee passavano di corsa. Qualcuno si fermò un istante presso a quel gruppo. Il vecchio compagno era adorato. Egli, deposto dolcemente a terra il ferito, gli sorreggeva la testa e s'insanguinava la mano tremante per sbottonarlo e cercare la piaga. Poi, con uno scatto, sollevò la faccia pallida, calma, solenne, sclamando: «Ma perchè non l'ho avuta io?». In quell'istante una palla lo colpì sulla tempia.

       Il vecchio volontario si rovesciò sul figlio. La morte li riuniva per sempre.

    NELL'ADRIATICO

    L'esplosione sulla “Benedetto Brin”

    (27 settembre).

       Alle ore otto del mattino una terribile esplosione scosse la città di Brindisi nel cui porto stava ancorata, con altre navi, la corazzata Benedetto Brin. Sulle prime nessuno seppe rendersi conto dell'accaduto, ma quando una densa colonna di fumo cominciò lentamente ad innalzarsi dal porto, si pensò subito che un incendio doveva essere scoppiato a bordo di una delle navi e da tutte le parti fu un accorrere affannoso verso la marina, mentre dalle navi si staccavano rapidamente innumerevoli barche per portare aiuto ai pericolanti.

       La Benedetto Brin era all'àncora nell'avamporto, distante forse due chilometri dalla riva, e fu per puro caso se non era venuta ad attraccare alla banchina: questa sua posizione d'ancoraggio limitò la sciagura, perchè, se lo scoppio fosse avvenuto sulla banchina, avrebbe avuto conseguenze e proporzioni ancora maggiori e forse la città avrebbe subìto danni non lievi.

    Quando parte del fumo si fu diradata, uno spettacolo tragico si offerse alla vista della folla che aveva coronato le alture del porto: al posto dov'era la Brin non si scorgeva altro che un immenso rudero nerastro di nave: tutta la parte poppiera ove erano gli alloggi degli ufficiali era scomparsa, asportata dall'esplosione immane della Santa Barbara di poppa; intorno galleggiavano rottami e cadaveri e dalle acque emergevano sfasciate le torri blindate e tutto il mare appariva agitato come per terremoto.

       Erano a bordo della nave 780 marinai, con 34 ufficiali che rimasero in gran parte o uccisi o feriti; perdite gravi, infatti, subì l'ufficialità, restando morti, fra gli altri, il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, e il comandante della nave, capitano di vascello Gino Fara Forni, di Novara.

       Il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, di 55 anni, era stato promosso da capitano di vascello all'attuale grado da due anni; venne insignito

     foto - La corazzata Benedetto Brin. 

  • October 22, 2018 09:13:52 Sara Fresi
  • June 30, 2017 23:17:05 Dario Manzotti

     pag. 314 

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9ᵃ compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

       « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè le fatiche, nè i pericoli, nè la fame, nè la sete, nè le vigilie, nè i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

       Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

       Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

      * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

       Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

       Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

       Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).

     foto - La consegna della medaglia al valore ad un valoroso, il caporale Chiappa Luigi (vedi pag. 198). 

     pag. 315 

    Due episodi.

       Le truppe ricordano — scrive Luigi Barzini — senza tristezza i loro eroi caduti. Ne raccontano le gesta, con semplicità. Episodi magnifici e senza numero. Una notte, nella seconda fase delle operazioni, dopo la conquista, un caporale si offrì volontario per andare a far saltare una mitragliatrice troppo molesta. «Ma è impossibile!» — dicevano i più temerarî. Egli si ostinò, e uscì dalla trincea, spingendo avanti il tubo esplosivo.

    Arrivò, sotto al fuoco, a metterlo a due o tre metri dalla mitragliatrice; arrivò ad accendere la miccia. Lo zampillare delle scintille permise al nome di dirigere meglio il tiro della mitragliatrice stessa, l'eroe crivellato si accasciò e abbattendosi spezzò la miccia accesa, l'esplosione mancò. I soldati decretarono al morto la sepoltura d'onore, ed egli dorme nel centro del piccolo cimitero, sotto ad un tumulo più alto e più solenne.

       In una compagnia combatteva un volontario dai baffi bianchi. Aveva sessant'anni, era soldato semplice. Si era arruolato per seguire alla guerra il suo figliuolo e servivano nella stessa compagnia, non si lasciavano mai. Si vedevano sempre nelle marce quei due soldati vicini, così diversi e così somiglianti, entrambi animati dallo stesso entusiasmo.

       Forse anche in quell'allacciamento perpetuo di vita vi era un impulso misterioso di addio: nel combattimento, sempre in prima linea, erano sempre avanti, spalla a spalla. Durante l'avanzata su Zagora, l'8 agosto, il figlio cadde mortalmente ferito.

       Il padre gettò il fucile e si slanciò a sorreggere il morente. Intorno i soldati delle seconde linee passavano di corsa. Qualcuno si fermò un istante presso a quel gruppo. Il vecchio compagno era adorato. Egli, deposto dolcemente a terra il ferito, gli sorreggeva la testa e s'insanguinava la mano tremante per sbottonarlo e cercare la piaga. Poi, con uno scatto, sollevò la faccia pallida, calma, solenne, sclamando: «Ma perchè non l'ho avuta io?». In quell'istante una palla lo colpì sulla tempia.

       Il vecchio volontario si rovesciò sul figlio. La morte li riuniva per sempre.

    NELL'ADRIATICO

    L'esplosione sulla “Benedetto Brin”

    (27 settembre).

       Alle ore otto del mattino una terribile esplosione scosse la città di Brindisi nel cui porto stava ancorata, con altre navi, la corazzata Benedetto Brin. Sulle prime nessuno seppe rendersi conto dell'accaduto, ma quando una densa colonna di fumo cominciò lentamente ad innalzarsi dal porto, si pensò subito che un incendio doveva essere scoppiato a bordo di una delle navi e da tutte le parti fu un accorrere affannoso verso la marina, mentre dalle navi si staccavano rapidamente innumerevoli barche per portare aiuto ai pericolanti.

       La Benedetto Brin era all'àncora nell'avamporto, distante forse due chilometri dalla riva, e fu per puro caso se non era venuta ad attraccare alla banchina: questa sua posizione d'ancoraggio limitò la sciagura, perchè, se lo scoppio fosse avvenuto sulla banchina, avrebbe avuto conseguenze e proporzioni ancora maggiori e forse la città avrebbe subìto danni non lievi.

    Quando parte del fumo si fu diradata, uno spettacolo tragico si offerse alla vista della folla che aveva coronato le alture del porto: al posto dov'era la Brin non si scorgeva altro che un immenso rudero nerastro di nave: tutta la parte poppiera ove erano gli alloggi degli ufficiali era scomparsa, asportata dall'esplosione immane della Santa Barbara di poppa; intorno galleggiavano rottami e cadaveri e dalle acque emergevano sfasciate le torri blindate e tutto il mare appariva agitato come per terremoto.

       Erano a bordo della nave 780 marinai, con 34 ufficiali che rimasero in gran parte o uccisi o feriti; perdite gravi, infatti, subì l'ufficialità, restando morti, fra gli altri, il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, e il comandante della nave, capitano di vascello Gino Fara Forni, di Novara.

       Il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, di 55 anni, era stato promosso da capitano di vascello all'attuale grado da due anni; venne insignito

     foto - La corazzata Benedetto Brin. 



  • June 29, 2017 23:12:25 Dario Manzotti

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9ᵃ compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

       « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè [SIC] le fatiche, nè [SIG] i pericoli, nè [SIC] la fame, nè [SIC] la sete, nè [SIC] le vigilie, nè [SIC] i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

       Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

       Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

      * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

       Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

       Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

       Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè [SIC] di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).

    [FIG. La consegna della medaglia al valore ad un valoroso, il caporale Chiappa Luigi (vedi pag. 198).]

    Due episodi.

       Le truppe ricordano — scrive Luigi Barzini — senza tristezza i loro eroi caduti. Ne raccontano le gesta, con semplicità. Episodi magnifici e senza numero. Una notte, nella seconda fase delle operazioni, dopo la conquista, un caporale si offrì volontario per andare a far saltare una mitragliatrice troppo molesta. «Ma è impossibile!» — dicevano i più temerarî. Egli si ostinò, e uscì dalla trincea, spingendo avanti il tubo esplosivo.

    Arrivò, sotto al fuoco, a metterlo a due o tre metri dalla mitragliatrice; arrivò ad accendere la miccia. Lo zampillare delle scintille permise al nome di dirigere meglio il tiro della mitragliatrice stessa, l'eroe crivellato si accasciò e abbattendosi spezzò la miccia accesa, l'esplosione mancò. I soldati decretarono al morto la sepoltura d'onore, ed egli dorme nel centro del piccolo cimitero, sotto ad un tumulo più alto e più solenne.

       In una compagnia combatteva un volontario dai baffi bianchi. Aveva sessant'anni, era soldato semplice. Si era arruolato per seguire alla guerra il suo figliuolo e servivano nella stessa compagnia, non si lasciavano mai. Si vedevano sempre nelle marce quei due soldati vicini, così diversi e così somiglianti, entrambi animati dallo stesso entusiasmo.

       Forse anche in quell'allacciamento perpetuo di vita vi era un impulso misterioso di addio: nel combattimento, sempre in prima linea, erano sempre avanti, spalla a spalla. Durante l'avanzata su Zagora, l'8 agosto, il figlio cadde mortalmente ferito.

       Il padre gettò il fucile e si slanciò a sorreggere il morente. Intorno i soldati delle seconde linee passavano di corsa. Qualcuno si fermò un istante presso a quel gruppo. Il vecchio compagno era adorato. Egli, deposto dolcemente a terra il ferito, gli sorreggeva la testa e s'insanguinava la mano tremante per sbottonarlo e cercare la piaga. Poi, con uno scatto, sollevò la faccia pallida, calma, solenne, sclamando: «Ma perchè non l'ho avuta io?». In quell'istante una palla lo colpì sulla tempia.

       Il vecchio volontario si rovesciò sul figlio. La morte li riuniva per sempre.

    NELL'ADRIATICO

    L'esplosione sulla “Benedetto Brin”

    (27 settembre).

       Alle ore otto del mattino una terribile esplosione scosse la città di Brindisi nel cui porto stava ancorata, con altre navi, la corazzata Benedetto Brin. Sulle prime nessuno seppe rendersi conto dell'accaduto, ma quando una densa colonna di fumo cominciò lentamente ad innalzarsi dal porto, si pensò subito che un incendio doveva essere scoppiato a bordo di una delle navi e da tutte le parti fu un accorrere affannoso verso la marina, mentre dalle navi si staccavano rapidamente innumerevoli barche per portare aiuto ai pericolanti.

       La Benedetto Brin era all'àncora nell'avamporto, distante forse due chilometri dalla riva, e fu per puro caso se non era venuta ad attraccare alla banchina: questa sua posizione d'ancoraggio limitò la sciagura, perchè, se lo scoppio fosse avvenuto sulla banchina, avrebbe avuto conseguenze e proporzioni ancora maggiori e forse la città avrebbe subìto danni non lievi.

    Quando parte del fumo si fu diradata, uno spettacolo tragico si offerse alla vista della folla che aveva coronato le alture del porto: al posto dov'era la Brin non si scorgeva altro che un immenso rudero nerastro di nave: tutta la parte poppiera ove erano gli alloggi degli ufficiali era scomparsa, asportata dall'esplosione immane della Santa Barbara di poppa; intorno galleggiavano rottami e cadaveri e dalle acque emergevano sfasciate le torri blindate e tutto il mare appariva agitato come per terremoto.

       Erano a bordo della nave 780 marinai, con 34 ufficiali che rimasero in gran parte o uccisi o feriti; perdite gravi, infatti, subì l'ufficialità, restando morti, fra gli altri, il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, e il comandante della nave, capitano di vascello Gino Fara Forni, di Novara.

       Il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, di 55 anni, era stato promosso da capitano di vascello all'attuale grado da due anni; venne insignito

    [FIG. La corazzata Benedetto Brin.]



  • June 27, 2017 22:13:44 Dario Manzotti

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9a compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

       « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè [SIC] le fatiche, nè [SIG] i pericoli, nè [SIC] la fame, nè [SIC] la sete, nè [SIC] le vigilie, nè [SIC] i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

       Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

       Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

      * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

       Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

       Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

       Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè [SIC] di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).

    [FIG. La consegna della medaglia al valore ad un valoroso, il caporale Chiappa Luigi (vedi pag. 198).]

    Due episodi.

       Le truppe ricordano — scrive Luigi Barzini — senza tristezza i loro eroi caduti. Ne raccontano le gesta, con semplicità. Episodi magnifici e senza numero. Una notte, nella seconda fase delle operazioni, dopo la conquista, un caporale si offrì volontario per andare a far saltare una mitragliatrice troppo molesta. «Ma è impossibile!» — dicevano i più temerarî. Egli si ostinò, e uscì dalla trincea, spingendo avanti il tubo esplosivo.

    Arrivò, sotto al fuoco, a metterlo a due o tre metri dalla mitragliatrice; arrivò ad accendere la miccia. Lo zampillare delle scintille permise al nome di dirigere meglio il tiro della mitragliatrice stessa, l'eroe crivellato si accasciò e abbattendosi spezzò la miccia accesa, l'esplosione mancò. I soldati decretarono al morto la sepoltura d'onore, ed egli dorme nel centro del piccolo cimitero, sotto ad un tumulo più alto e più solenne.

       In una compagnia combatteva un volontario dai baffi bianchi. Aveva sessant'anni, era soldato semplice. Si era arruolato per seguire alla guerra il suo figliuolo e servivano nella stessa compagnia, non si lasciavano mai. Si vedevano sempre nelle marce quei due soldati vicini, così diversi e così somiglianti, entrambi animati dallo stesso entusiasmo.

       Forse anche in quell'allacciamento perpetuo di vita vi era un impulso misterioso di addio: nel combattimento, sempre in prima linea, erano sempre avanti, spalla a spalla. Durante l'avanzata su Zagora, l'8 agosto, il figlio cadde mortalmente ferito.

       Il padre gettò il fucile e si slanciò a sorreggere il morente. Intorno i soldati delle seconde linee passavano di corsa. Qualcuno si fermò un istante presso a quel gruppo. Il vecchio compagno era adorato. Egli, deposto dolcemente a terra il ferito, gli sorreggeva la testa e s'insanguinava la mano tremante per sbottonarlo e cercare la piaga. Poi, con uno scatto, sollevò la faccia pallida, calma, solenne, sclamando: «Ma perchè non l'ho avuta io?». In quell'istante una palla lo colpì sulla tempia.

       Il vecchio volontario si rovesciò sul figlio. La morte li riuniva per sempre.

    NELL'ADRIATICO

    L'esplosione sulla “Benedetto Brin”

    (27 settembre).

       Alle ore otto del mattino una terribile esplosione scosse la città di Brindisi nel cui porto stava ancorata, con altre navi, la corazzata Benedetto Brin. Sulle prime nessuno seppe rendersi conto dell'accaduto, ma quando una densa colonna di fumo cominciò lentamente ad innalzarsi dal porto, si pensò subito che un incendio doveva essere scoppiato a bordo di una delle navi e da tutte le parti fu un accorrere affannoso verso la marina, mentre dalle navi si staccavano rapidamente innumerevoli barche per portare aiuto ai pericolanti.

       La Benedetto Brin era all'àncora nell'avamporto, distante forse due chilometri dalla riva, e fu per puro caso se non era venuta ad attraccare alla banchina: questa sua posizione d'ancoraggio limitò la sciagura, perchè, se lo scoppio fosse avvenuto sulla banchina, avrebbe avuto conseguenze e proporzioni ancora maggiori e forse la città avrebbe subìto danni non lievi.

    Quando parte del fumo si fu diradata, uno spettacolo tragico si offerse alla vista della folla che aveva coronato le alture del porto: al posto dov'era la Brin non si scorgeva altro che un immenso rudero nerastro di nave: tutta la parte poppiera ove erano gli alloggi degli ufficiali era scomparsa, asportata dall'esplosione immane della Santa Barbara di poppa; intorno galleggiavano rottami e cadaveri e dalle acque emergevano sfasciate le torri blindate e tutto il mare appariva agitato come per terremoto.

       Erano a bordo della nave 780 marinai, con 34 ufficiali che rimasero in gran parte o uccisi o feriti; perdite gravi, infatti, subì l'ufficialità, restando morti, fra gli altri, il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, e il comandante della nave, capitano di vascello Gino Fara Forni, di Novara.

       Il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, di 55 anni, era stato promosso da capitano di vascello all'attuale grado da due anni; venne insignito

    [FIG. La corazzata Benedetto Brin.]



  • June 27, 2017 22:13:36 Dario Manzotti

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9a compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

       « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè [SIC] le fatiche, nè [SIG] i pericoli, nè [SIC] la fame, nè [SIC] la sete, nè [SIC] le vigilie, nè [SIC] i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

       Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

       Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

      * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

       Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

       Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

       Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè [SIC] di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).

    [FIG. La consegna della medaglia al valore ad un valoroso, il caporale Chiappa Luigi (vedi pag. 198).]

    Due episodi.

       Le truppe ricordano — scrive Luigi Barzini — senza tristezza i loro eroi caduti. Ne raccontano le gesta, con semplicità. Episodi magnifici e senza numero. Una notte, nella seconda fase delle operazioni, dopo la conquista, un caporale si offrì volontario per andare a far saltare una mitragliatrice troppo molesta. «Ma è impossibile!» — dicevano i più temerarî. Egli si ostinò, e uscì dalla trincea, spingendo avanti il tubo esplosivo.

    Arrivò, sotto al fuoco, a metterlo a due o tre metri dalla mitragliatrice; arrivò ad accendere la miccia. Lo zampillare delle scintille permise al nome di dirigere meglio il tiro della mitragliatrice stessa, l'eroe crivellato si accasciò e abbattendosi spezzò la miccia accesa, l'esplosione mancò. I soldati decretarono al morto la sepoltura d'onore, ed egli dorme nel centro del piccolo cimitero, sotto ad un tumulo più alto e più solenne.

       In una compagnia combatteva un volontario dai baffi bianchi. Aveva sessant'anni, era soldato semplice. Si era arruolato per seguire alla guerra il suo figliuolo e servivano nella stessa compagnia, non si lasciavano mai. Si vedevano sempre nelle marce quei due soldati vicini, così diversi e così somiglianti, entrambi animati dallo stesso entusiasmo.

       Forse anche in quell'allacciamento perpetuo di vita vi era un impulso misterioso di addio: nel combattimento, sempre in prima linea, erano sempre avanti, spalla a spalla. Durante l'avanzata su Zagora, l'8 agosto, il figlio cadde mortalmente ferito.

       Il padre gettò il fucile e si slanciò a sorreggere il morente. Intorno i soldati delle seconde linee passavano di corsa. Qualcuno si fermò un istante presso a quel gruppo. Il vecchio compagno era adorato. Egli, deposto dolcemente a terra il ferito, gli sorreggeva la testa e s'insanguinava la mano tremante per sbottonarlo e cercare la piaga. Poi, con uno scatto, sollevò la faccia pallida, calma, solenne, sclamando: «Ma perchè non l'ho avuta io?». In quell'istante una palla lo colpì sulla tempia.

       Il vecchio volontario si rovesciò sul figlio. La morte li riuniva per sempre.

    NELL'ADRIATICO

    L'esplosione sulla “Benedetto Brin”

    (27 settembre).

       Alle ore otto del mattino una terribile esplosione scosse la città di Brindisi nel cui porto stava ancorata, con altre navi, la corazzata Benedetto Brin. Sulle prime nessuno seppe rendersi conto dell'accaduto, ma quando una densa colonna di fumo cominciò lentamente ad innalzarsi dal porto, si pensò subito che un incendio doveva essere scoppiato a bordo di una delle navi e da tutte le parti fu un accorrere affannoso verso la marina, mentre dalle navi si staccavano rapidamente innumerevoli barche per portare aiuto ai pericolanti.

       La Benedetto Brin era all'àncora nell'avamporto, distante forse due chilometri dalla riva, e fu per puro caso se non era venuta ad attraccare alla banchina: questa sua posizione d'ancoraggio limitò la sciagura, perchè, se lo scoppio fosse avvenuto sulla banchina, avrebbe avuto conseguenze e proporzioni ancora maggiori e forse la città avrebbe subìto danni non lievi.

    Quando parte del fumo si fu diradata, uno spettacolo tragico si offerse alla vista della folla che aveva coronato le alture del porto: al posto dov'era la Brin non si scorgeva altro che un immenso rudero nerastro di nave: tutta la parte poppiera ove erano gli alloggi degli ufficiali era scomparsa, asportata dall'esplosione immane della Santa Barbara di poppa; intorno galleggiavano rottami e cadaveri e dalle acque emergevano sfasciate le torri blindate e tutto il mare appariva agitato come per terremoto.

       Erano a bordo della nave 780 marinai, con 34 ufficiali che rimasero in gran parte o uccisi o feriti; perdite gravi, infatti, subì l'ufficialità, restando morti, fra gli altri, il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin, e il comandante della nave, capitano di vascello Gino Fara Forni, di Novara.

       Il contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervn, di 55 anni, era stato promosso da capitano di vascello all'attuale grado da due anni; venne insignito

    [FIG. La corazzata Benedetto Brin.]



  • June 27, 2017 22:04:30 Dario Manzotti

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9a compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

       « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè [SIC] le fatiche, nè [SIG] i pericoli, nè [SIC] la fame, nè [SIC] la sete, nè [SIC] le vigilie, nè [SIC] i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

       Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

       Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

      * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

       Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

       Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

       Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè [SIC] di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).

    [FIG. La consegna della medaglia al valore ad un valoroso, il caporale Chiappa Luigi (vedi pag. 198).]

    Due episodi.

       Le truppe ricordano — scrive Luigi Barzini — senza tristezza i loro eroi caduti. Ne raccontano le gesta, con semplicità. Episodi magnifici e senza numero. Una notte, nella seconda fase delle operazioni, dopo la conquista, un caporale si offrì volontario per andare a far saltare una mitragliatrice troppo molesta. «Ma è impossibile!» — dicevano i più temerarî. Egli si ostinò, e uscì dalla trincea, spingendo avanti il tubo esplosivo.

    Arrivò, sotto al fuoco, a metterlo a due o tre metri dalla mitragliatrice; arrivò ad accendere la miccia. Lo zampillare delle scintille permise al nome di dirigere meglio il tiro della mitragliatrice stessa, l'eroe crivellato si accasciò e abbattendosi spezzò la miccia accesa, l'esplosione mancò. I soldati decretarono al morto la sepoltura d'onore, ed egli dorme nel centro del piccolo cimitero, sotto ad un tumulo più alto e più solenne.

       In una compagnia combatteva un volontario dai baffi bianchi. Aveva sessant'anni, era soldato semplice. Si era arruolato per seguire alla guerra il suo figliuolo e servivano nella stessa compagnia, non si lasciavano mai. Si vedevano sempre nelle marce quei due soldati vicini, così diversi e così somiglianti, entrambi animati dallo stesso entusiasmo.

       Forse anche in quell'allacciamento perpetuo di vita vi era un impulso misterioso di addio: nel combattimento, sempre in prima linea, erano sempre avanti, spalla a spalla. Durante l'avanzata su Zagora, l'8 agosto, il figlio cadde mortalmente ferito.

       Il padre gettò il fucile e si slanciò a sorreggere il morente. Intorno i soldati delle seconde linee passavano di corsa. Qualcuno si fermò un istante presso a quel gruppo. Il vecchio compagno era adorato. Egli, deposto dolcemente a terra il ferito, gli sorreggeva la testa e s'insanguinava la mano tremante per sbottonarlo e cercare la piaga. Poi, con uno scatto, sollevò la faccia pallida, calma, solenne, sclamando: «Ma perchè non l'ho avuta io?». In quell'istante una palla lo colpì sulla tempia.

       Il vecchio volontario si rovesciò sul figlio. La morte li riuniva per sempre.

    [FIG. La corazzata Benedetto Brin.]



  • June 27, 2017 21:53:49 Dario Manzotti

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9a compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

       « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè [SIC] le fatiche, nè [SIG] i pericoli, nè [SIC] la fame, nè [SIC] la sete, nè [SIC] le vigilie, nè [SIC] i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

       Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

       Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

      * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

       Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

       Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

       Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè [SIC] di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).

    [FIG. La consegna della medaglia al valore ad un valoroso, il caporale Chiappa Luigi (vedi pag. 198).]

    Due episodi.



  • June 27, 2017 21:40:51 Dario Manzotti

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9a compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

       « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè [SIC] le fatiche, nè [SIG] i pericoli, nè [SIC] la fame, nè [SIC] la sete, nè [SIC] le vigilie, nè [SIC] i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

       Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

       Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

      * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

       Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

       Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:

       Lady Salvatore, da Senis (Cagliari), sergente del 151° reggimento di fanteria, perchè [SIC] di fronte al nemico ogni suo atto è stato un atto di valore (agosto 1915).



  • June 27, 2017 21:35:48 Dario Manzotti

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9a compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       « Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.

       « Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III, con animo paterno pensa a riunire tutta la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da..., il 2 luglio 1915, faccio note ai miei cari queste ultime volontà: «O gioventù italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore per la grandezza, per l'unità, per l'onore della patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi; nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'onore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè [SIC] le fatiche, nè [SIG] i pericoli, nè [SIC] la fame, nè [SIC] la sete, nè [SIC] le vigilie, nè [SIC] i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle giuste aspirazioni nazionali; l'amore degli italiani oppressi, l'odio contro i vecchi tiranni nostri oppressori; quindi, poi che mi volete bene, non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora di un tale amore per voi. Date fiori a chi morì per la patria».

       Di questo brano del testamento del tenente raggi il colonnello comandante il reggimento diede comunicazione ai suoi soldati con speciale ordine permanente destinato a rimanere nei fasti gloriosi del reggimento, e la morte del valoroso venne citata all'ordine del giorno.

       Questa è la prima medaglia d'oro alla memoria del fortissimo ufficiale romagnolo; erroneamente fu dai giornali stampato che alla signorina Maria Abriani di Ala venne conferita tale alta ricompensa (v. pag. 155): alla valorosa signorina venne concessa la medaglia d'argento al valor militare.

      * Il Re ha concesso la medaglia d'argento, con speciale motivazione, a:

       Amici Domenico, di Gorga (Roma), maresciallo del 155° reggimento fanteria. Egli durante l'azione contro il margine esterno di un bosco, saputo che l'aiutante maggiore era caduto ferito, si portò spontaneamente a fianco del suo colonnello, aiutandolo validamente a riordinare le truppe che tornavano da un terzo assalto. Vista che una compagnia era rimasta senza ufficiali, di sua iniziativa si assunse il comando, ed alla testa di essa riuscì a condurla per la quarta volta all'assalto restando gravemente ferito all'addome e ai piedi (27 luglio 1915).

       Venne concessa la medaglia d'argento, dal comandante della 3a armata, a:


  • June 27, 2017 21:26:20 Dario Manzotti

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9a compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.

       La motivazione dell'altissima ricompensa è la seguente: « Il tenente Decio Raggi, nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie, si lanciava primo sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista, li incitava, li rincuorava, invocando le tradizioni della forte Romagna. Colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla patria li spronava ancora a compiere l'impresa valorosa, si chimava beato della sua sorte e inneggiava al glorioso avvenire dell'Italia.

       «Le mirabili virtù guerriere del tenente Raggi ritrassero singolare splendore dai purissimi sentimenti di italiano e di soldato quali egli li espresse nel testamento dettato pochi giorni prima di morire e trovato dopo la sua morte nel suo portafoglio. Ecco questo documento di grandezza morale scritto dal valoroso il 2 luglio, diciotto giorni prima dell'assalto in cui cadde mortalmente ferito.


  • June 27, 2017 21:19:42 Dario Manzotti

    PAGINE DOCUMENTALI D'EROISMO

    La prima medaglia d'oro.

       Il Sovrano ha, il 1° ottobre concesso di motu proprio la medaglia d'oro al valore militare alla memoria del tenente di complemento del... reggimento fanteria Decio Raggi, di Savignano (Forlì), comandante della 9a[<---] compagnia. Tra i molti valorosi che negli assalti del giugno e del luglio sulle contrastate pendici dell'altura di Podgora ebbero troncata la vita, il tenente Raggi lasciò fulgida memoria di strenuo ed ardente valore, di consapevole volontà di sacrificio.


Description

Save description
    Location(s)
    Login and add location


    ID
    5850 / 66311
    Source
    http://europeana1914-1918.eu/...
    Contributor
    Guglielmina Di Girolamo
    License
    http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/


    October 10, 1915
    Login to edit the languages
    • Italiano

    Login to edit the fronts
    • Italian Front

    Login to add keywords
    • Home Front

    Login and add links

    Notes and questions

    Login to leave a note