Rivista "La Guerra Italiana". N. 20
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della croce d'oro con corona per 40 anni di servizio militare, della croce d'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro, della commenda della Corona d'Italia e delle medaglie commemorative delle campagne d'Africa e della guerra italo-turca.
Il comandante Gino Fara Forni aveva 48 anni. Fu nominato capitano di corvetta nel 1903, e al Ministero della Marina ebbe importanti uffici. Durante la guerra libica comandava la nave Iride e prese parte al combattimento di Zuara ed a combattimenti lungo la costa tripolitana. Prima di partire per Brindisi era addetto al comando dei reali Equipaggi.
Quasi tutti gli ufficiali di vascello sono periti; si sono salvati invece, ad eccezione del capitano Pietro Ciabatti, Azzarini, G. M. Pollini e F. Molino, gli ufficiali macchinisti e gli ufficiali medici: perì anche il capitano del genio navale ing. Franco Pegazzano.
foto - Il sommergibile francese Papin (vedi pag. 276).
Dopo i soccorsi ai feriti, fu dato opera ai lavori per il ricupero dei materiali e dei cannoni.
Probabilmente — escluso ogni attentato esterno del nemico — l'esplosione deve attribuirsi a quelle cause misteriose che funestarono le altre marine e che per la prima volta, il 27 settembre 1915, colpirono la nostra. I francesi sono stati in passato duramente provati da simili disgrazie: nel 1907 la Jena mentre era in bacino fu abbattuta da una esplosione avvenuta nella Santa Barbara di poppa, e più tardi nella rada di Tolone saltava la Liberté.
Poco prima del disastro l'ammiraglio Rubin de Cervin, che era sceso a terra per conferire con gli altri comandanti delle navi, saliva sulla corazzata e convocava a gran rapporto lo Stato Maggiore della nave al quale doveva comunicare alcuni ordini.
Intanto attorno alla nostra bella nave alcuni marinai prendevano il bagno. L'esplosione avvenne mentre gli ufficiali erano nel salone maggiore per il rapporto: la Santa Barbara di poppa, che si trovava proprio sotto il detto salone, saltò improvvisamente in aria.
Il telegramma dell'On. Salandra.
L'on. Salandra, nel giorno stesso della catastrofe diresse al Duca degli Abruzzi questo telegramma:
« Ho letto il rapporto dell'ammiraglio Presbitero relativo all'esplosione delle [SIC] regia nave Benedetto Brin.
Vi si afferma che una commissione è stata nominata per procedere ad una immediata inchiesta intesa ad accertare le cause dell'esplosione.
« La commissione proceda pure alle sue constatazioni con l'aiuto dei tecnici che sono stati richiesti. Ma io, interprete e partecipe della grave impressione che la notizia della perdita della poderosa nave e di tante vite di valorosi ufficiali e marinai produrrà nel Paese, prego V. A. R. di assumersi direttamente il compito di accertare le cause del doloroso fatto, ricercando, senza riguardi a persone, le eventuali responsabilità e rassicurando il Paese e la Marina, che deve e vuole essere esposta ai colpi del nemico, ma non a rischi immani derivanti forse da negligenze o acquiescenze, le quali — se vi sono state — debbono rigorosamente accertarsi, dichiararsi e punirsi ».
LA NAVE
La Benedetto Brin era stata varata il 7 novembre 1901, dopo essere rimasta sullo scalo per quasi tre anni. Al pari della sua gemella, la Regina Margherita, essa era stata progettata dal Brin, il nostro grande ingegnere e ministro, morto nel giugno del 1898, alla vigilia della impostazione delle due navi che dovevano segnare la rinascita della, allora, nostra troppo decaduta marina.
Il progetto originale del Brin, degno della sua grande mente, comportava per queste navi un armamento di due cannoni da 305 in una torre a poppa e dieci pezzi da 203 in cinque torri, una a prora e due lungo ciascun fianco della nave: precorreva così i concetti che Vittorio Cuniberti tradusse poi in pratica col riuscitissimo tipo Regina Elena. L'innovazione parve forse, in quei tempi ne i quali l'armamento secondario non superava generalmente il calibro di 152 millimetri, troppo ardita; e, morto il Brin, venne dato all'ingegnere Micheli l'incarico di modificare il progetto. In tal modo la Brin ebbe un'artiglieria composta di quattro cannoni da 305 in due torri all'estremità della nave, quattro cannoni da 203 sul ponte, ai quattro angoli della cittadella e dodici pezzi da 152 in batteria, oltre ai numerosi pezzi minori. La nave si accostò così molto a quel tipo di corazzate al quale l'Inghilterra si tenne fedele dalla Majestic del 1895 alla King Edward VII del 1903.
La Brin e la sua gemella furono le nostre prime corazzate di linea dotate di caldaie multitubolari e di motrici a triplice espansione e quattro cilindri. Furono anche le prime nelle quali si facesse largo impiego dell'elettricità per i servizi ausiliari e di tutte le più moderne applicazioni della tecnica e dell'igiene.
Allorchè la nave entrò in servizio, nel 1905, essa era già in arretrato sui progressi compiuti nel frattempo dalle artiglierie e dalle corazze. La sua corazza, del massimo spessore di 152 millimetri, era già troppo tenue schermo alle offese dei grossi cannoni fabbricati nel quinquennio 1900-1905, mentrechè i suoi cannoni da 152 apparivano già scarsamente efficaci contro le nuove piastre fabbricate col sistema Krupp. Oltre a ciò la nave presentava un bersaglio non indifferente a motivo dell'eccessivo sviluppo delle sue soprastrutture (che vennero parzialmente ridotte in seguito), e per le enormi e caratteristiche trombe d'aria che sorgevano presso ai tre tozzi e grandi fumaiuoli.
Per tutti questi motivi la Benedetto Brin non potè mai essere considerata come una nave di linea molto potente; e l'avvento delle dreadnoughts la relegò
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definitivamente fra le corazzate di secondaria importanza. Ma, poichè tutto è relativo, essa rappresentò per lungo tempo ancora un elemento tutt'altro che trascurabile di fronte alle navi contemporanee delle marine austriaca e francese; ancora oggi, dopo dieci anni di servizio, la sua efficenza bellica poteva ritenersi notevole.
Utili servigi aveva reso la nave al tempo della guerra italo-turca, ed a lei spettava il vanto di avere iniziato le ostilità con la Turchia, tirando i primi due colpi di cannone contro i forti di Tripoli, il 2 ottobre 1911.
La corazzata perduta era lunga m. 138.65, larga m. 23.84 ed aveva una immersione di m. 8.25; a queste dimensioni corrispondeva l'attuale dislocamento di 14.974 tonnellate. Le sue due motrici, che avevano sviluppato alle prove la potenza massima di 20.475 cavalli vapore, potevano imprimerle ancora oggi una velocità superiore ai 19 nodi; la sua autonomia era di 5000 miglia alla velocità di 10 nodi. Era costata circa trenta milioni.
RENATO CALANTUONI.
VITA AL FRONTE
Un cappellano laico.
Ricorreva il nome di Maria, dolcissimo nome, ed in uno dei nostri settori più impervi del fronte, si doveva celebrare la messa al campo.
Sul dorso della montagna, illuminato dal primo sole del mattino, a scaglioni, sulla strada, sul sentiero, sulle rocce soprastanti, attorno al palco adattato ad altare si raccoglievano i soldati come in un magnifico anfiteatro; nel mezzo gli ufficiali. Di quando in quando l'ormai consueto e cupo rombo del cannone. Senonchè, era passata un'ora da quella fissata, e il comandante si avvede che il cappellano celebrante non è ancora arrivato. Che fare? La situazione è imbarazzante. Breve consiglio; si stacca un messaggero il quale ritorna poco dopo accompagnato... dall'onorevole Luigi Gasparotto.
Il deputato di Milano è pregato di parlare, e alle prime esitanze gli si affollano intorno gli ufficiali. Allora l'on. Gasparotto accenna a cominciare. «Il fatto — dice — del tutto impreveduto ed imprevedibile di un tenente-deputato che è chiamato a sostituire il tenente-cappellano, dimostra quale alto spirito di tolleranza, rispetto a tutte le fedi e a tutte le opinioni, informa la vita al campo. Qui, in faccia al nemico, noi ci sentiamo soltanto italiani!»
E allora il deputato di Milano si abbandona ad una rapida e vibrante improvvisazione nella quale passa in rassegna tutte le ragioni politiche sociali e ideali che rendono necessaria e santa la guerra presente.
La folla dei soldati, composta e commossa, col sole in pieno viso, ascolta, non più sorpresa, ma colpita, la parola del cappellano laico. La voce dell'oratore, a momenti altissima, squilla nell'aria come una fanfara.
foto - L'on. Luigi Gasparotto.
Gli ospedali della Croce Rossa
Dopo un giro d'ispezione, fatto dal presidente della Croce Rossa italiana, conte Gian Giacomo della Somaglia, egli fece relazione sull'andamento degli ospedali militari in tutta Italia e al fronte.
foto - Una motocicletta-lettiga della Croce Rossa di Perugia.
A Napoli — già il 1° ottobre — erano aperti due bellissimi ospedali della Croce Rossa, e il terzo è in attuazione: a Spezia (un ospedale), a Genova (un ospedale), a Santa Margherita Ligure (un ospedale), a Firenze (13 ospedali), a Bologna (3 ospedali), a Perugia (un ospedale), a Viareggio (un ospedale), a Pallanza (un ospedale). Ovunque furono destinati alla Croce Rossa i più bei palazzi, con sale ampie e persino sontuose. Pure visitati nell'ispezione furono gli ospedali di riserva che la Croce Rossa ha stabiliti nella zona di guerra, e cioè i due ospedali di Padova, i due di Rovigo, quello di Ferrara e i due di Treviso, e quindi la visita ha proseguito in quelli che si trovano al fronte, al di qua e al di là dell'Isonzo.
Poichè ben 31 sono gli ospedali che la Croce Rossa ha impiantato al fronte, dai quali si dipartono poi tutti i servizi che pongono in rapporto il campo di battaglia coi ricoveri ospitalieri stabili: sono 100 le ambulanze automobili che la Croce Rossa ha mobilitato, 22 i treni-ospedale che ha in servizio, 150 gli ospedali, con 16.000 letti disponibili. Vi sono poi un migliaio di automobili, di cui molte gratuitamente offerte, a sua disposizione. I medici della Croce Rossa sono 1500, le infermiere gratuite 2000. Il personale adibito ai vari servizi ascende ad 8000 persone.
Fra gli ispettori e i medici al fronte sono, del corpo universitario, i professori Nigrisoli di Bologna, Tunisi di Modena, Rossi di Spoleto, Zuria di Catania, e negli altri ospedali i professori Rolando, Del Prete, Moscioni, Valagussa, Scocciante, Sgambati, Casati, Bolognini, Salvia, De Liguoro, ecc.
La Croce Rossa ha già, durante la guerra, pagato il suo tributo di vittime: 9 sono i valorosi nobilmente caduti al servizio della sua causa, altri per le dure fatiche caddero gravemente infermi.
Per ciò che concerne Milano, il conte Della Somaglia ha visitato gli ospedali che sono finora aperti: i padiglioni Zonda e Litta, quello dell'Istituto dei sordomuti, il Victor De Marchi, il Principessa Jolanda, il Bocconi, l'Evangelico, quello della Banca Commerciale e quello delle Benedettine, che, pur non essendo della Croce Rossa, è da questo fornito di dame infermiere. Da questa visita il presidente della Croce Rossa ha riportato la migliore impressione: i feriti sono circondati dalle cure mediche e morali più intelligenti e affettuose. Milano ha mobilitato parecchi tra i suoi migliori chirurghi e medici — Rossi, Della Vedova, Piantanida, Badini, Crosti, Sironi, Perez, Fano, ecc. — per affidar loro la direzione di questi ospedali.
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della croce d'oro con corona per 40 anni di servizio militare, della croce d'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro, della commenda della Corona d'Italia e delle medaglie commemorative delle campagne d'Africa e della guerra italo-turca.
Il comandante Gino Fara Forni aveva 48 anni. Fu nominato capitano di corvetta nel 1903, e al Ministero della Marina ebbe importanti uffici. Durante la guerra libica comandava la nave Iride e prese parte al combattimento di Zuara ed a combattimenti lungo la costa tripolitana. Prima di partire per Brindisi era addetto al comando dei reali Equipaggi.
Quasi tutti gli ufficiali di vascello sono periti; si sono salvati invece, ad eccezione del capitano Pietro Ciabatti, Azzarini, G. M. Pollini e F. Molino, gli ufficiali macchinisti e gli ufficiali medici: perì anche il capitano del genio navale ing. Franco Pegazzano.
foto - Il sommergibile francese Papin (vedi pag. 276).
Dopo i soccorsi ai feriti, fu dato opera ai lavori per il ricupero dei materiali e dei cannoni.
Probabilmente — escluso ogni attentato esterno del nemico — l'esplosione deve attribuirsi a quelle cause misteriose che funestarono le altre marine e che per la prima volta, il 27 settembre 1915, colpirono la nostra. I francesi sono stati in passato duramente provati da simili disgrazie: nel 1907 la Jena mentre era in bacino fu abbattuta da una esplosione avvenuta nella Santa Barbara di poppa, e più tardi nella rada di Tolone saltava la Liberté.
Poco prima del disastro l'ammiraglio Rubin de Cervin, che era sceso a terra per conferire con gli altri comandanti delle navi, saliva sulla corazzata e convocava a gran rapporto lo Stato Maggiore della nave al quale doveva comunicare alcuni ordini.
Intanto attorno alla nostra bella nave alcuni marinai prendevano il bagno. L'esplosione avvenne mentre gli ufficiali erano nel salone maggiore per il rapporto: la Santa Barbara di poppa, che si trovava proprio sotto il detto salone, saltò improvvisamente in aria.
Il telegramma dell'On. Salandra.
L'on. Salandra, nel giorno stesso della catastrofe diresse al Duca degli Abruzzi questo telegramma:
« Ho letto il rapporto dell'ammiraglio Presbitero relativo all'esplosione delle [SIC] regia nave Benedetto Brin.
Vi si afferma che una commissione è stata nominata per procedere ad una immediata inchiesta intesa ad accertare le cause dell'esplosione.
« La commissione proceda pure alle sue constatazioni con l'aiuto dei tecnici che sono stati richiesti. Ma io, interprete e partecipe della grave impressione che la notizia della perdita della poderosa nave e di tante vite di valorosi ufficiali e marinai produrrà nel Paese, prego V. A. R. di assumersi direttamente il compito di accertare le cause del doloroso fatto, ricercando, senza riguardi a persone, le eventuali responsabilità e rassicurando il Paese e la Marina, che deve e vuole essere esposta ai colpi del nemico, ma non a rischi immani derivanti forse da negligenze o acquiescenze, le quali — se vi sono state — debbono rigorosamente accertarsi, dichiararsi e punirsi ».
LA NAVE
La Benedetto Brin era stata varata il 7 novembre 1901, dopo essere rimasta sullo scalo per quasi tre anni. Al pari della sua gemella, la Regina Margherita, essa era stata progettata dal Brin, il nostro grande ingegnere e ministro, morto nel giugno del 1898, alla vigilia della impostazione delle due navi che dovevano segnare la rinascita della, allora, nostra troppo decaduta marina.
Il progetto originale del Brin, degno della sua grande mente, comportava per queste navi un armamento di due cannoni da 305 in una torre a poppa e dieci pezzi da 203 in cinque torri, una a prora e due lungo ciascun fianco della nave: precorreva così i concetti che Vittorio Cuniberti tradusse poi in pratica col riuscitissimo tipo Regina Elena. L'innovazione parve forse, in quei tempi ne i quali l'armamento secondario non superava generalmente il calibro di 152 millimetri, troppo ardita; e, morto il Brin, venne dato all'ingegnere Micheli l'incarico di modificare il progetto. In tal modo la Brin ebbe un'artiglieria composta di quattro cannoni da 305 in due torri all'estremità della nave, quattro cannoni da 203 sul ponte, ai quattro angoli della cittadella e dodici pezzi da 152 in batteria, oltre ai numerosi pezzi minori. La nave si accostò così molto a quel tipo di corazzate al quale l'Inghilterra si tenne fedele dalla Majestic del 1895 alla King Edward VII del 1903.
La Brin e la sua gemella furono le nostre prime corazzate di linea dotate di caldaie multitubolari e di motrici a triplice espansione e quattro cilindri. Furono anche le prime nelle quali si facesse largo impiego dell'elettricità per i servizi ausiliari e di tutte le più moderne applicazioni della tecnica e dell'igiene.
Allorchè la nave entrò in servizio, nel 1905, essa era già in arretrato sui progressi compiuti nel frattempo dalle artiglierie e dalle corazze. La sua corazza, del massimo spessore di 152 millimetri, era già troppo tenue schermo alle offese dei grossi cannoni fabbricati nel quinquennio 1900-1905, mentrechè i suoi cannoni da 152 apparivano già scarsamente efficaci contro le nuove piastre fabbricate col sistema Krupp. Oltre a ciò la nave presentava un bersaglio non indifferente a motivo dell'eccessivo sviluppo delle sue soprastrutture (che vennero parzialmente ridotte in seguito), e per le enormi e caratteristiche trombe d'aria che sorgevano presso ai tre tozzi e grandi fumaiuoli.
Per tutti questi motivi la Benedetto Brin non potè mai essere considerata come una nave di linea molto potente; e l'avvento delle dreadnoughts la relegò
pag. 317
definitivamente fra le corazzate di secondaria importanza. Ma, poichè tutto è relativo, essa rappresentò per lungo tempo ancora un elemento tutt'altro che trascurabile di fronte alle navi contemporanee delle marine austriaca e francese; ancora oggi, dopo dieci anni di servizio, la sua efficenza bellica poteva ritenersi notevole.
Utili servigi aveva reso la nave al tempo della guerra italo-turca, ed a lei spettava il vanto di avere iniziato le ostilità con la Turchia, tirando i primi due colpi di cannone contro i forti di Tripoli, il 2 ottobre 1911.
La corazzata perduta era lunga m. 138.65, larga m. 23.84 ed aveva una immersione di m. 8.25; a queste dimensioni corrispondeva l'attuale dislocamento di 14.974 tonnellate. Le sue due motrici, che avevano sviluppato alle prove la potenza massima di 20.475 cavalli vapore, potevano imprimerle ancora oggi una velocità superiore ai 19 nodi; la sua autonomia era di 5000 miglia alla velocità di 10 nodi. Era costata circa trenta milioni.
RENATO CALANTUONI.
VITA AL FRONTE
Un cappellano laico.
Ricorreva il nome di Maria, dolcissimo nome, ed in uno dei nostri settori più impervi del fronte, si doveva celebrare la messa al campo.
Sul dorso della montagna, illuminato dal primo sole del mattino, a scaglioni, sulla strada, sul sentiero, sulle rocce soprastanti, attorno al palco adattato ad altare si raccoglievano i soldati come in un magnifico anfiteatro; nel mezzo gli ufficiali. Di quando in quando l'ormai consueto e cupo rombo del cannone. Senonchè, era passata un'ora da quella fissata, e il comandante si avvede che il cappellano celebrante non è ancora arrivato. Che fare? La situazione è imbarazzante. Breve consiglio; si stacca un messaggero il quale ritorna poco dopo accompagnato... dall'onorevole Luigi Gasparotto.
Il deputato di Milano è pregato di parlare, e alle prime esitanze gli si affollano intorno gli ufficiali. Allora l'on. Gasparotto accenna a cominciare. «Il fatto — dice — del tutto impreveduto ed imprevedibile di un tenente-deputato che è chiamato a sostituire il tenente-cappellano, dimostra quale alto spirito di tolleranza, rispetto a tutte le fedi e a tutte le opinioni, informa la vita al campo. Qui, in faccia al nemico, noi ci sentiamo soltanto italiani!»
E allora il deputato di Milano si abbandona ad una rapida e vibrante improvvisazione nella quale passa in rassegna tutte le ragioni politiche sociali e ideali che rendono necessaria e santa la guerra presente.
La folla dei soldati, composta e commossa, col sole in pieno viso, ascolta, non più sorpresa, ma colpita, la parola del cappellano laico. La voce dell'oratore, a momenti altissima, squilla nell'aria come una fanfara.
foto - L'on. Luigi Gasparotto.
Gli ospedali della Croce Rossa
Dopo un giro d'ispezione, fatto dal presidente della Croce Rossa italiana, conte Gian Giacomo della Somaglia, egli fece relazione sull'andamento degli ospedali militari in tutta Italia e al fronte.
foto - Una motocicletta-lettiga della Croce Rossa di Perugia.
A Napoli — già il 1° ottobre — erano aperti due bellissimi ospedali della Croce Rossa, e il terzo è in attuazione: a Spezia (un ospedale), a Genova (un ospedale), a Santa Margherita Ligure (un ospedale), a Firenze (13 ospedali), a Bologna (3 ospedali), a Perugia (un ospedale), a Viareggio (un ospedale), a Pallanza (un ospedale). Ovunque furono destinati alla Croce Rossa i più bei palazzi, con sale ampie e persino sontuose. Pure visitati nell'ispezione furono gli ospedali di riserva che la Croce Rossa ha stabiliti nella zona di guerra, e cioè i due ospedali di Padova, i due di Rovigo, quello di Ferrara e i due di Treviso, e quindi la visita ha proseguito in quelli che si trovano al fronte, al di qua e al di là dell'Isonzo.
Poichè ben 31 sono gli ospedali che la Croce Rossa ha impiantato al fronte, dai quali si dipartono poi tutti i servizi che pongono in rapporto il campo di battaglia coi ricoveri ospitalieri stabili: sono 100 le ambulanze automobili che la Croce Rossa ha mobilitato, 22 i treni-ospedale che ha in servizio, 150 gli ospedali, con 16.000 letti disponibili. Vi sono poi un migliaio di automobili, di cui molte gratuitamente offerte, a sua disposizione. I medici della Croce Rossa sono 1500, le infermiere gratuite 2000. Il personale adibito ai vari servizi ascende ad 8000 persone.
Fra gli ispettori e i medici al fronte sono, del corpo universitario, i professori Nigrisoli di Bologna, Tunisi di Modena, Rossi di Spoleto, Zuria di Catania, e negli altri ospedali i professori Rolando, Del Prete, Moscioni, Valagussa, Scocciante, Sgambati, Casati, Bolognini, Salvia, De Liguoro, ecc.
La Croce Rossa ha già, durante la guerra, pagato il suo tributo di vittime: 9 sono i valorosi nobilmente caduti al servizio della sua causa, altri per le dure fatiche caddero gravemente infermi.
Per ciò che concerne Milano, il conte Della Somaglia ha visitato gli ospedali che sono finora aperti: i padiglioni Zonda e Litta, quello dell'Istituto dei sordomuti, il Victor De Marchi, il Principessa Jolanda, il Bocconi, l'Evangelico, quello della Banca Commerciale e quello delle Benedettine, che, pur non essendo della Croce Rossa, è da questo fornito di dame infermiere. Da questa visita il presidente della Croce Rossa ha riportato la migliore impressione: i feriti sono circondati dalle cure mediche e morali più intelligenti e affettuose. Milano ha mobilitato parecchi tra i suoi migliori chirurghi e medici — Rossi, Della Vedova, Piantanida, Badini, Crosti, Sironi, Perez, Fano, ecc. — per affidar loro la direzione di questi ospedali.
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della croce d'oro con corona per 40 anni di servizio militare, della croce d'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro, della commenda della Corona d'Italia e delle medaglie commemorative delle campagne d'Africa e della guerra italo-turca.
Il comandante Gino Fara Forni aveva 48 anni. Fu nominato capitano di corvetta nel 1903, e al Ministero della Marina ebbe importanti uffici. Durante la guerra libica comandava la nave Iride e prese parte al combattimento di Zuara ed a combattimenti lungo la costa tripolitana. Prima di partire per Brindisi era addetto al comando dei reali Equipaggi.
Quasi tutti gli ufficiali di vascello sono periti; si sono salvati invece, ad eccezione del capitano Pietro Ciabatti, Azzarini, G. M. Pollini e F. Molino, gli ufficiali macchinisti e gli ufficiali medici: perì anche il capitano del genio navale ing. Franco Pegazzano.
[FIG. Il sommergibile francese Papin (vedi pag. 276).]
Dopo i soccorsi ai feriti, fu dato opera ai lavori per il ricupero dei materiali e dei cannoni.
Probabilmente — escluso ogni attentato esterno del nemico — l'esplosione deve attribuirsi a quelle cause misteriose che funestarono le altre marine e che per la prima volta, il 27 settembre 1915, colpirono la nostra. I francesi sono stati in passato duramente provati da simili disgrazie: nel 1907 la Jena mentre era in bacino fu abbattuta da una esplosione avvenuta nella Santa Barbara di poppa, e più tardi nella rada di Tolone saltava la Liberté.
Poco prima del disastro l'ammiraglio Rubin de Cervin, che era sceso a terra per conferire con gli altri comandanti delle navi, saliva sulla corazzata e convocava a gran rapporto lo Stato Maggiore della nave al quale doveva comunicare alcuni ordini.
Intanto attorno alla nostra bella nave alcuni marinai prendevano il bagno. L'esplosione avvenne mentre gli ufficiali erano nel salone maggiore per il rapporto: la Santa Barbara di poppa, che si trovava proprio sotto il detto salone, saltò improvvisamente in aria.
Il telegramma dell'On. Salandra.
L'on. Salandra, nel giorno stesso della catastrofe diresse al Duca degli Abruzzi questo telegramma:
« Ho letto il rapporto dell'ammiraglio Presbitero relativo all'esplosione delle [SIC] regia nave Benedetto Brin.
Vi si afferma che una commissione è stata nominata per procedere ad una immediata inchiesta intesa ad accertare le cause dell'esplosione.
« La commissione proceda pure alle sue constatazioni con l'aiuto dei tecnici che sono stati richiesti. Ma io, interprete e partecipe della grave impressione che la notizia della perdita della poderosa nave e di tante vite di valorosi ufficiali e marinai produrrà nel Paese, prego V. A. R. di assumersi direttamente il compito di accertare le cause del doloroso fatto, ricercando, senza riguardi a persone, le eventuali responsabilità e rassicurando il Paese e la Marina, che deve e vuole essere esposta ai colpi del nemico, ma non a rischi immani derivanti forse da negligenze o acquiescenze, le quali — se vi sono state — debbono rigorosamente accertarsi, dichiararsi e punirsi ».
LA NAVE
La Benedetto Brin era stata varata il 7 novembre 1901, dopo essere rimasta sullo scalo per quasi tre anni. Al pari della sua gemella, la Regina Margherita, essa era stata progettata dal Brin, il nostro grande ingegnere e ministro, morto nel giugno del 1898, alla vigilia della impostazione delle due navi che dovevano segnare la rinascita della, allora, nostra troppo decaduta marina.
Il progetto originale del Brin, degno della sua grande mente, comportava per queste navi un armamento di due cannoni da 305 in una torre a poppa e dieci pezzi da 203 in cinque torri, una a prora e due lungo ciascun fianco della nave: precorreva così i concetti che Vittorio Cuniberti tradusse poi in pratica col riuscitissimo tipo Regina Elena. L'innovazione parve forse, in quei tempi ne i quali l'armamento secondario non superava generalmente il calibro di 152 millimetri, troppo ardita; e, morto il Brin, venne dato all'ingegnere Micheli l'incarico di modificare il progetto. In tal modo la Brin ebbe un'artiglieria composta di quattro cannoni da 305 in due torri all'estremità della nave, quattro cannoni da 203 sul ponte, ai quattro angoli della cittadella e dodici pezzi da 152 in batteria, oltre ai numerosi pezzi minori. La nave si accostò così molto a quel tipo di corazzate al quale l'Inghilterra si tenne fedele dalla Majestic del 1895 alla King Edward VII del 1903.
La Brin e la sua gemella furono le nostre prime corazzate di linea dotate di caldaie multitubolari e di motrici a triplice espansione e quattro cilindri. Furono anche le prime nelle quali si facesse largo impiego dell'elettricità per i servizi ausiliari e di tutte le più moderne applicazioni della tecnica e dell'igiene.
Allorchè [SIC] la nave entrò in servizio, nel 1905, essa era già in arretrato sui progressi compiuti nel frattempo dalle artiglierie e dalle corazze. La sua corazza, del massimo spessore di 152 millimetri, era già troppo tenue schermo alle offese dei grossi cannoni fabbricati nel quinquennio 1900-1905, mentrechè [SIC] i suoi cannoni da 152 apparivano già scarsamente efficaci contro le nuove piastre fabbricate col sistema Krupp. Oltre a ciò la nave presentava un bersaglio non indifferente a motivo dell'eccessivo sviluppo delle sue soprastrutture (che vennero parzialmente ridotte in seguito), e per le enormi e caratteristiche trombe d'aria che sorgevano presso ai tre tozzi e grandi fumaiuoli.
Per tutti questi motivi la Benedetto Brin non potè [SIC] mai essere considerata come una nave di linea molto potente; e l'avvento delle dreadnoughts la relegò definitivamente fra le corazzate di secondaria importanza. Ma, poichè [SIC] tutto è relativo, essa rappresentò per lungo tempo ancora un elemento tutt'altro che trascurabile di fronte alle navi contemporanee delle marine austriaca e francese; ancora oggi, dopo dieci anni di servizio, la sua efficenza [SIC] bellica poteva ritenersi notevole.
Utili servigi aveva reso la nave al tempo della guerra italo-turca, ed a lei spettava il vanto di avere iniziato le ostilità con la Turchia, tirando i primi due colpi di cannone contro i forti di Tripoli, il 2 ottobre 1911.
La corazzata perduta era lunga m. 138.65, larga m. 23.84 ed aveva una immersione di m. 8.25; a queste dimensioni corrispondeva l'attuale dislocamento di 14.974 tonnellate. Le sue due motrici, che avevano sviluppato alle prove la potenza massima di 20.475 cavalli vapore, potevano imprimerle ancora oggi una velocità superiore ai 19 nodi; la sua autonomia era di 5000 miglia alla velocità di 10 nodi. Era costata circa trenta milioni.
RENATO CALANTUONI.
VITA AL FRONTE
Un cappellano laico.
Ricorreva il nome di Maria, dolcissimo nome, ed in uno dei nostri settori più impervi del fronte, si doveva celebrare la messa al campo.
Sul dorso della montagna, illuminato dal primo sole del mattino, a scaglioni, sulla strada, sul sentiero, sulle rocce soprastanti, attorno al palco adattato ad altare si raccoglievano i soldati come in un magnifico anfiteatro; nel mezzo gli ufficiali. Di quando in quando l'ormai consueto e cupo rombo del cannone. Senonchè [SIC], era passata un'ora da quella fissata, e il comandante si avvede che il cappellano celebrante non è ancora arrivato. Che fare? La situazione è imbarazzante. Breve consiglio; si stacca un messaggero il quale ritorna poco dopo accompagnato... dall'onorevole Luigi Gasparotto.
Il deputato di Milano è pregato di parlare, e alle prime esitanze gli si affollano intorno gli ufficiali. Allora l'on. Gasparotto accenna a cominciare. «Il fatto — dice — del tutto impreveduto ed imprevedibile di un tenente-deputato che è chiamato a sostituire il tenente-cappellano, dimostra quale alto spirito di tolleranza, rispetto a tutte le fedi e a tutte le opinioni, informa la vita al campo. Qui, in faccia al nemico, noi ci sentiamo soltanto italiani!»
E allora il deputato di Milano si abbandona ad una rapida e vibrante improvvisazione nella quale passa in rassegna tutte le ragioni politche sociali e ideali che rendono necessaria e santa la guerra presente.
La folla dei soldati, composta e commossa, col sole in pieno viso, ascolta, non più sorpresa, ma colpita, la parola del cappellano laico. La voce dell'oratore, a momenti altissima, squilla nell'aria come una fanfara.
Gli ospedali della Croce Rossa
Dopo un giro d'ispezione, fatto dal presidente della Croce Rossa italiana, conte Gian Giacomo della Somaglia, egli fece relazione sull'andamento degli ospedali militari in tutta Italia e al fronte.
[FIG. Una motocicletta-lettiga della Croce Rossa di Perugia.]
A Napoli — già il 1° ottobre — erano aperti due bellissimi ospedali della Croce Rossa, e il terzo è in attuazione: a Spezia (un ospedale), a Genova (un ospedale), a Santa Margherita Ligure (un ospedale), a Firenze (13 ospedali), a Bologna (3 ospedali), a Perugia (un ospedale), a Viareggio (un ospedale), a Pallanza (un ospedale). Ovunque furono destinati alla Croce Rossa i più bei palazzi, con sale ampie e persino sontuose. Pure visitati nell'ispezione furono gli ospedali di riserva che la Croce Rossa ha stabiliti nella zona di guerra, e cioè i due ospedali di Padova, i due di Rovigo, quello di Ferrara e i due di Treviso, e quindi la visita ha proseguito in quelli che si trovano al fronte, al di qua e al di là dell'Isonzo.
Poichè [SIC] ben 31 sono gli ospedali che la Croce Rossa ha impiantato al fronte, dai quali si dipartono poi tutti i servizi che pongono in rapporto il campo di battaglia coi ricoveri ospitalieri stabili: sono 100 le ambulanze automobili che la Croce Rossa ha mobilitato, 22 i treni-ospedale che ha in servizio, 150 gli ospedali, con 16.000 letti disponibili. Vi sono poi un migliaio di automobili, di cui molte gratuitamente offerte, a sua disposizione. I medici della Croce Rossa sono 1500, le infermiere gratuite 2000. Il personale adibito ai vari servizi ascende ad 8000 persone.
Fra gli ispettori e i medici al fronte sono, del corpo universitario, i professori Nigrisoli di Bologna, Tunisi di Modena, Rossi di Spoleto, Zuria di Catania, e negli altri ospedali i professori Rolando, Del Prete, Moscioni, Valagussa, Scocciante, Sgambati, Casati, Bolognini, Salvia, De Liguoro, ecc.
La Croce Rossa ha già, durante la guerra, pagato il suo tributo di vittime: 9 sono i valorosi nobilmente caduti al servizio della sua causa, altri per le dure fatiche caddero gravemente infermi.
Per ciò che concerne Milano, il conte Della Somaglia ha visitato gli ospedali che sono finora aperti: i padiglioni Zonda e Litta, quello dell'Istituto dei sordomuti, il Victor De Marchi, il Principessa Jolanda, il Bocconi, l'Evangelico, quello della Banca Commerciale e quello delle Benedettine, che, pur non essendo della Croce Rossa, è da questo fornito di dame infermiere. Da questa visita il presidente della Croce Rossa ha riportato la migliore impressione: i feriti sono circondati dalle cure mediche e morali più intelligenti e affettuose. Milano ha mobilitato parecchi tra i suoi migliori chirurghi e medici — Rossi, Della Vedova, Piantanida, Badini, Crosti, Sironi, Perez, Fano, ecc. — per affidar loro la direzione di questi ospedali.
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della croce d'oro con corona per 40 anni di servizio militare, della croce d'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro, della commenda della Corona d'Italia e delle medaglie commemorative delle campagne d'Africa e della guerra italo-turca.
Il comandante Gino Fara Forni aveva 48 anni. Fu nominato capitano di corvetta nel 1903, e al Ministero della Marina ebbe importanti uffici. Durante la guerra libica comandava la nave Iride e prese parte al combattimento di Zuara ed a combattimenti lungo la costa tripolitana. Prima di partire per Brindisi era addetto al comando dei reali Equipaggi.
Quasi tutti gli ufficiali di vascello sono periti; si sono salvati invece, ad eccezione del capitano Pietro Ciabatti, Azzarini, G. M. Pollini e F. Molino, gli ufficiali macchinisti e gli ufficiali medici: perì anche il capitano del genio navale ing. Franco Pegazzano.
[FIG. Il sommergibile francese Papin (vedi pag. 276).]
Dopo i soccorsi ai feriti, fu dato opera ai lavori per il ricupero dei materiali e dei cannoni.
Probabilmente — escluso ogni attentato esterno del nemico — l'esplosione deve attribuirsi a quelle cause misteriose che funestarono le altre marine e che per la prima volta, il 27 settembre 1915, colpirono la nostra. I francesi sono stati in passato duramente provati da simili disgrazie: nel 1907 la Jena mentre era in bacino fu abbattuta da una esplosione avvenuta nella Santa Barbara di poppa, e più tardi nella rada di Tolone saltava la Liberté.
Poco prima del disastro l'ammiraglio Rubin de Cervin, che era sceso a terra per conferire con gli altri comandanti delle navi, saliva sulla corazzata e convocava a gran rapporto lo Stato Maggiore della nave al quale doveva comunicare alcuni ordini.
Intanto attorno alla nostra bella nave alcuni marinai prendevano il bagno. L'esplosione avvenne mentre gli ufficiali erano nel salone maggiore per il rapporto: la Santa Barbara di poppa, che si trovava proprio sotto il detto salone, saltò improvvisamente in aria.
Il telegramma dell'On. Salandra.
L'on. Salandra, nel giorno stesso della catastrofe diresse al Duca degli Abruzzi questo telegramma:
« Ho letto il rapporto dell'ammiraglio Presbitero relativo all'esplosione delle [SIC] regia nave Benedetto Brin.
Vi si afferma che una commissione è stata nominata per procedere ad una immediata inchiesta intesa ad accertare le cause dell'esplosione.
« La commissione proceda pure alle sue constatazioni con l'aiuto dei tecnici che sono stati richiesti. Ma io, interprete e partecipe della grave impressione che la notizia della perdita della poderosa nave e di tante vite di valorosi ufficiali e marinai produrrà nel Paese, prego V. A. R. di assumersi direttamente il compito di accertare le cause del doloroso fatto, ricercando, senza riguardi a persone, le eventuali responsabilità e rassicurando il Paese e la Marina, che deve e vuole essere esposta ai colpi del nemico, ma non a rischi immani derivanti forse da negligenze o acquiescenze, le quali — se vi sono state — debbono rigorosamente accertarsi, dichiararsi e punirsi ».
LA NAVE
La Benedetto Brin era stata varata il 7 novembre 1901, dopo essere rimasta sullo scalo per quasi tre anni. Al pari della sua gemella, la Regina Margherita, essa era stata progettata dal Brin, il nostro grande ingegnere e ministro, morto nel giugno del 1898, alla vigilia della impostazione delle due navi che dovevano segnare la rinascita della, allora, nostra troppo decaduta marina.
Il progetto originale del Brin, degno della sua grande mente, comportava per queste navi un armamento di due cannoni da 305 in una torre a poppa e dieci pezzi da 203 in cinque torri, una a prora e due lungo ciascun fianco della nave: precorreva così i concetti che Vittorio Cuniberti tradusse poi in pratica col riuscitissimo tipo Regina Elena. L'innovazione parve forse, in quei tempi ne i quali l'armamento secondario non superava generalmente il calibro di 152 millimetri, troppo ardita; e, morto il Brin, venne dato all'ingegnere Micheli l'incarico di modificare il progetto. In tal modo la Brin ebbe un'artiglieria composta di quattro cannoni da 305 in due torri all'estremità della nave, quattro cannoni da 203 sul ponte, ai quattro angoli della cittadella e dodici pezzi da 152 in batteria, oltre ai numerosi pezzi minori. La nave si accostò così molto a quel tipo di corazzate al quale l'Inghilterra si tenne fedele dalla Majestic del 1895 alla King Edward VII del 1903.
La Brin e la sua gemella furono le nostre prime corazzate di linea dotate di caldaie multitubolari e di motrici a triplice espansione e quattro cilindri. Furono anche le prime nelle quali si facesse largo impiego dell'elettricità per i servizi ausiliari e di tutte le più moderne applicazioni della tecnica e dell'igiene.
Allorchè [SIC] la nave entrò in servizio, nel 1905, essa era già in arretrato sui progressi compiuti nel frattempo dalle artiglierie e dalle corazze. La sua corazza, del massimo spessore di 152 millimetri, era già troppo tenue schermo alle offese dei grossi cannoni fabbricati nel quinquennio 1900-1905, mentrechè [SIC] i suoi cannoni da 152 apparivano già scarsamente efficaci contro le nuove piastre fabbricate col sistema Krupp. Oltre a ciò la nave presentava un bersaglio non indifferente a motivo dell'eccessivo sviluppo delle sue soprastrutture (che vennero parzialmente ridotte in seguito), e per le enormi e caratteristiche trombe d'aria che sorgevano presso ai tre tozzi e grandi fumaiuoli.
Per tutti questi motivi la Benedetto Brin non potè [SIC] mai essere considerata come una nave di linea molto potente; e l'avvento delle dreadnoughts la relegò definitivamente fra le corazzate di secondaria importanza. Ma, poichè [SIC] tutto è relativo, essa rappresentò per lungo tempo ancora un elemento tutt'altro che trascurabile di fronte alle navi contemporanee delle marine austriaca e francese; ancora oggi, dopo dieci anni di servizio, la sua efficenza [SIC] bellica poteva ritenersi notevole.
Utili servigi aveva reso la nave al tempo della guerra italo-turca, ed a lei spettava il vanto di avere iniziato le ostilità con la Turchia, tirando i primi due colpi di cannone contro i forti di Tripoli, il 2 ottobre 1911.
La corazzata perduta era lunga m. 138.65, larga m. 23.84 ed aveva una immersione di m. 8.25; a queste dimensioni corrispondeva l'attuale dislocamento di 14.974 tonnellate. Le sue due motrici, che avevano sviluppato alle prove la potenza massima di 20.475 cavalli vapore, potevano imprimerle ancora oggi una velocità superiore ai 19 nodi; la sua autonomia era di 5000 miglia alla velocità di 10 nodi. Era costata circa trenta milioni.
RENATO CALANTUONI.
VITA AL FRONTE
Un cappellano laico.
Ricorreva il nome di Maria, dolcissimo nome, ed in uno dei nostri settori più impervi del fronte, si doveva celebrare la messa al campo.
Sul dorso della montagna, illuminato dal primo sole del mattino, a scaglioni, sulla strada, sul sentiero, sulle rocce soprastanti, attorno al palco adattato ad altare si raccoglievano i soldati come in un magnifico anfiteatro; nel mezzo gli ufficiali. Di quando in quando l'ormai consueto e cupo rombo del cannone. Senonchè [SIC], era passata un'ora da quella fissata, e il comandante si avvede che il cappellano celebrante non è ancora arrivato. Che fare? La situazione è imbarazzante. Breve consiglio; si stacca un messaggero il quale ritorna poco dopo accompagnato... dall'onorevole Luigi Gasparotto.
Il deputato di Milano è pregato di parlare, e alle prime esitanze gli si affollano intorno gli ufficiali. Allora l'on. Gasparotto accenna a cominciare. «Il fatto — dice — del tutto impreveduto ed imprevedibile di un tenente-deputato che è chiamato a sostituire il tenente-cappellano, dimostra quale alto spirito di tolleranza, rispetto a tutte le fedi e a tutte le opinioni, informa la vita al campo. Qui, in faccia al nemico, noi ci sentiamo soltanto italiani!»
E allora il deputato di Milano si abbandona ad una rapida e vibrante improvvisazione nella quale passa in rassegna tutte le ragioni politche sociali e ideali che rendono necessaria e santa la guerra presente.
La folla dei soldati, composta e commossa, col sole in pieno viso, ascolta, non più sorpresa, ma colpita, la parola del cappellano laico. La voce dell'oratore, a momenti altissima, squilla nell'aria come una fanfara.
Gli ospedali della Croce Rossa
Dopo un giro d'ispezione, fatto dal presidente della Croce Rossa italiana, conte Gian Giacomo della Somaglia, egli fece relazione sull'andamento degli ospedali militari in tutta Italia e al fronte.
[FIG. Una motocicletta-lettiga della Croce Rossa di Perugia.]
A Napoli — già il 1° ottobre — erano aperti due bellissimi ospedali della Croce Rossa, e il terzo è in attuazione: a Spezia (un ospedale), a Genova (un ospedale), a Santa Margherita Ligure (un ospedale), a Firenze (13 ospedali), a Bologna (3 ospedali), a Perugia (un ospedale), a Viareggio (un ospedale), a Pallanza (un ospedale). Ovunque furono destinati alla Croce Rossa i più bei palazzi, con sale ampie e persino sontuose. Pure visitati nell'ispezione furono gli ospedali di riserva che la Croce Rossa ha stabiliti nella zona di guerra, e cioè i due ospedali di Padova, i due di Rovigo, quello di Ferrara e i due di Treviso, e quindi la visita ha proseguito in quelli che si trovano al fronte, al di qua e al di là dell'Isonzo.
Poichè [SIC] ben 31 sono gli ospedali che la Croce Rossa ha impiantato al fronte, dai quali si dipartono poi tutti i servizi che pongono in rapporto il campo di battaglia coi ricoveri ospitalieri stabili: sono 100 le ambulanze automobili che la Croce Rossa ha mobilitato, 22 i treni-ospedale che ha in servizio, 150 gli ospedali, con 16.000 letti disponibili. Vi sono poi un migliaio di automobili, di cui molte gratuitamente offerte, a sua disposizione. I medici della Croce Rossa sono 1500, le infermiere gratuite 2000. Il personale adibito ai vari servizi ascende ad 8000 persone.
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della croce d'oro con corona per 40 anni di servizio militare, della croce d'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro, della commenda della Corona d'Italia e delle medaglie commemorative delle campagne d'Africa e della guerra italo-turca.
Il comandante Gino Fara Forni aveva 48 anni. Fu nominato capitano di corvetta nel 1903, e al Ministero della Marina ebbe importanti uffici. Durante la guerra libica comandava la nave Iride e prese parte al combattimento di Zuara ed a combattimenti lungo la costa tripolitana. Prima di partire per Brindisi era addetto al comando dei reali Equipaggi.
Quasi tutti gli ufficiali di vascello sono periti; si sono salvati invece, ad eccezione del capitano Pietro Ciabatti, Azzarini, G. M. Pollini e F. Molino, gli ufficiali macchinisti e gli ufficiali medici: perì anche il capitano del genio navale ing. Franco Pegazzano.
[FIG. Il sommergibile francese Papin (vedi pag. 276).]
Dopo i soccorsi ai feriti, fu dato opera ai lavori per il ricupero dei materiali e dei cannoni.
Probabilmente — escluso ogni attentato esterno del nemico — l'esplosione deve attribuirsi a quelle cause misteriose che funestarono le altre marine e che per la prima volta, il 27 settembre 1915, colpirono la nostra. I francesi sono stati in passato duramente provati da simili disgrazie: nel 1907 la Jena mentre era in bacino fu abbattuta da una esplosione avvenuta nella Santa Barbara di poppa, e più tardi nella rada di Tolone saltava la Liberté.
Poco prima del disastro l'ammiraglio Rubin de Cervin, che era sceso a terra per conferire con gli altri comandanti delle navi, saliva sulla corazzata e convocava a gran rapporto lo Stato Maggiore della nave al quale doveva comunicare alcuni ordini.
Intanto attorno alla nostra bella nave alcuni marinai prendevano il bagno. L'esplosione avvenne mentre gli ufficiali erano nel salone maggiore per il rapporto: la Santa Barbara di poppa, che si trovava proprio sotto il detto salone, saltò improvvisamente in aria.
Il telegramma dell'On. Salandra.
L'on. Salandra, nel giorno stesso della catastrofe diresse al Duca degli Abruzzi questo telegramma:
« Ho letto il rapporto dell'ammiraglio Presbitero relativo all'esplosione delle [SIC] regia nave Benedetto Brin.
Vi si afferma che una commissione è stata nominata per procedere ad una immediata inchiesta intesa ad accertare le cause dell'esplosione.
« La commissione proceda pure alle sue constatazioni con l'aiuto dei tecnici che sono stati richiesti. Ma io, interprete e partecipe della grave impressione che la notizia della perdita della poderosa nave e di tante vite di valorosi ufficiali e marinai produrrà nel Paese, prego V. A. R. di assumersi direttamente il compito di accertare le cause del doloroso fatto, ricercando, senza riguardi a persone, le eventuali responsabilità e rassicurando il Paese e la Marina, che deve e vuole essere esposta ai colpi del nemico, ma non a rischi immani derivanti forse da negligenze o acquiescenze, le quali — se vi sono state — debbono rigorosamente accertarsi, dichiararsi e punirsi ».
LA NAVE
La Benedetto Brin era stata varata il 7 novembre 1901, dopo essere rimasta sullo scalo per quasi tre anni. Al pari della sua gemella, la Regina Margherita, essa era stata progettata dal Brin, il nostro grande ingegnere e ministro, morto nel giugno del 1898, alla vigilia della impostazione delle due navi che dovevano segnare la rinascita della, allora, nostra troppo decaduta marina.
Il progetto originale del Brin, degno della sua grande mente, comportava per queste navi un armamento di due cannoni da 305 in una torre a poppa e dieci pezzi da 203 in cinque torri, una a prora e due lungo ciascun fianco della nave: precorreva così i concetti che Vittorio Cuniberti tradusse poi in pratica col riuscitissimo tipo Regina Elena. L'innovazione parve forse, in quei tempi ne i quali l'armamento secondario non superava generalmente il calibro di 152 millimetri, troppo ardita; e, morto il Brin, venne dato all'ingegnere Micheli l'incarico di modificare il progetto. In tal modo la Brin ebbe un'artiglieria composta di quattro cannoni da 305 in due torri all'estremità della nave, quattro cannoni da 203 sul ponte, ai quattro angoli della cittadella e dodici pezzi da 152 in batteria, oltre ai numerosi pezzi minori. La nave si accostò così molto a quel tipo di corazzate al quale l'Inghilterra si tenne fedele dalla Majestic del 1895 alla King Edward VII del 1903.
La Brin e la sua gemella furono le nostre prime corazzate di linea dotate di caldaie multitubolari e di motrici a triplice espansione e quattro cilindri. Furono anche le prime nelle quali si facesse largo impiego dell'elettricità per i servizi ausiliari e di tutte le più moderne applicazioni della tecnica e dell'igiene.
Allorchè [SIC] la nave entrò in servizio, nel 1905, essa era già in arretrato sui progressi compiuti nel frattempo dalle artiglierie e dalle corazze. La sua corazza, del massimo spessore di 152 millimetri, era già troppo tenue schermo alle offese dei grossi cannoni fabbricati nel quinquennio 1900-1905, mentrechè [SIC] i suoi cannoni da 152 apparivano già scarsamente efficaci contro le nuove piastre fabbricate col sistema Krupp. Oltre a ciò la nave presentava un bersaglio non indifferente a motivo dell'eccessivo sviluppo delle sue soprastrutture (che vennero parzialmente ridotte in seguito), e per le enormi e caratteristiche trombe d'aria che sorgevano presso ai tre tozzi e grandi fumaiuoli.
Per tutti questi motivi la Benedetto Brin non potè [SIC] mai essere considerata come una nave di linea molto potente; e l'avvento delle dreadnoughts la relegò definitivamente fra le corazzate di secondaria importanza. Ma, poichè [SIC] tutto è relativo, essa rappresentò per lungo tempo ancora un elemento tutt'altro che trascurabile di fronte alle navi contemporanee delle marine austriaca e francese; ancora oggi, dopo dieci anni di servizio, la sua efficenza [SIC] bellica poteva ritenersi notevole.
Utili servigi aveva reso la nave al tempo della guerra italo-turca, ed a lei spettava il vanto di avere iniziato le ostilità con la Turchia, tirando i primi due colpi di cannone contro i forti di Tripoli, il 2 ottobre 1911.
La corazzata perduta era lunga m. 138.65, larga m. 23.84 ed aveva una immersione di m. 8.25; a queste dimensioni corrispondeva l'attuale dislocamento di 14.974 tonnellate. Le sue due motrici, che avevano sviluppato alle prove la potenza massima di 20.475 cavalli vapore, potevano imprimerle ancora oggi una velocità superiore ai 19 nodi; la sua autonomia era di 5000 miglia alla velocità di 10 nodi. Era costata circa trenta milioni.
RENATO CALANTUONI.
VITA AL FRONTE
Un cappellano laico.
Ricorreva il nome di Maria, dolcissimo nome, ed in uno dei nostri settori più impervi del fronte, si doveva celebrare la messa al campo.
Sul dorso della montagna, illuminato dal primo sole del mattino, a scaglioni, sulla strada, sul sentiero, sulle rocce soprastanti, attorno al palco adattato ad altare si raccoglievano i soldati come in un magnifico anfiteatro; nel mezzo gli ufficiali. Di quando in quando l'ormai consueto e cupo rombo del cannone. Senonchè [SIC], era passata un'ora da quella fissata, e il comandante si avvede che il cappellano celebrante non è ancora arrivato. Che fare? La situazione è imbarazzante. Breve consiglio; si stacca un messaggero il quale ritorna poco dopo accompagnato... dall'onorevole Luigi Gasparotto.
Il deputato di Milano è pregato di parlare, e alle prime esitanze gli si affollano intorno gli ufficiali. Allora l'on. Gasparotto accenna a cominciare. «Il fatto — dice — del tutto impreveduto ed imprevedibile di un tenente-deputato che è chiamato a sostituire il tenente-cappellano, dimostra quale alto spirito di tolleranza, rispetto a tutte le fedi e a tutte le opinioni, informa la vita al campo. Qui, in faccia al nemico, noi ci sentiamo soltanto italiani!»
E allora il deputato di Milano si abbandona ad una rapida e vibrante improvvisazione nella quale passa in rassegna tutte le ragioni politche sociali e ideali che rendono necessaria e santa la guerra presente.
La folla dei soldati, composta e commossa, col sole in pieno viso, ascolta, non più sorpresa, ma colpita, la parola del cappellano laico. La voce dell'oratore, a momenti altissima, squilla nell'aria come una fanfara.
Gli ospedali della Croce Rossa
Dopo un giro d'ispezione, fatto dal presidente della Croce Rossa italiana, conte Gian Giacomo della Somaglia, egli fece relazione sull'andamento degli ospedali militari in tutta Italia e al fronte.
[FIG. Una motocicletta-lettiga della Croce Rossa di Perugia.]
A Napoli — già il 1° ottobre — erano aperti due bellissimi ospedali della Croce Rossa, e il terzo è in attuazione: a Spezia (un ospedale), a Genova (un ospedale), a Santa Margherita Ligure (un ospedale), a Firenze (13 ospedali), a Bologna (3 ospedali), a Perugia (un ospedale), a Viareggio (un ospedale), a Pallanza (un ospedale). Ovunque furono destinati alla Croce Rossa i più bei palazzi, con sale ampie e persino sontuose. Pure visitati nell'ispezione furono gli ospedali di riserva che la Croce Rossa ha stabiliti nella zona di guerra, e cioè i due ospedali di Padova, i due di Rovigo, quello di Ferrara e i due di Treviso, e quindi la visita ha proseguito in quelli che si trovano al fronte, al di qua e al di là dell'Isonzo.
-
della croce d'oro con corona per 40 anni di servizio militare, della croce d'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro, della commenda della Corona d'Italia e delle medaglie commemorative delle campagne d'Africa e della guerra italo-turca.
Il comandante Gino Fara Forni aveva 48 anni. Fu nominato capitano di corvetta nel 1903, e al Ministero della Marina ebbe importanti uffici. Durante la guerra libica comandava la nave Iride e prese parte al combattimento di Zuara ed a combattimenti lungo la costa tripolitana. Prima di partire per Brindisi era addetto al comando dei reali Equipaggi.
Quasi tutti gli ufficiali di vascello sono periti; si sono salvati invece, ad eccezione del capitano Pietro Ciabatti, Azzarini, G. M. Pollini e F. Molino, gli ufficiali macchinisti e gli ufficiali medici: perì anche il capitano del genio navale ing. Franco Pegazzano.
[FIG. Il sommergibile francese Papin (vedi pag. 276).]
Dopo i soccorsi ai feriti, fu dato opera ai lavori per il ricupero dei materiali e dei cannoni.
Probabilmente — escluso ogni attentato esterno del nemico — l'esplosione deve attribuirsi a quelle cause misteriose che funestarono le altre marine e che per la prima volta, il 27 settembre 1915, colpirono la nostra. I francesi sono stati in passato duramente provati da simili disgrazie: nel 1907 la Jena mentre era in bacino fu abbattuta da una esplosione avvenuta nella Santa Barbara di poppa, e più tardi nella rada di Tolone saltava la Liberté.
Poco prima del disastro l'ammiraglio Rubin de Cervin, che era sceso a terra per conferire con gli altri comandanti delle navi, saliva sulla corazzata e convocava a gran rapporto lo Stato Maggiore della nave al quale doveva comunicare alcuni ordini.
Intanto attorno alla nostra bella nave alcuni marinai prendevano il bagno. L'esplosione avvenne mentre gli ufficiali erano nel salone maggiore per il rapporto: la Santa Barbara di poppa, che si trovava proprio sotto il detto salone, saltò improvvisamente in aria.
Il telegramma dell'On. Salandra.
L'on. Salandra, nel giorno stesso della catastrofe diresse al Duca degli Abruzzi questo telegramma:
« Ho letto il rapporto dell'ammiraglio Presbitero relativo all'esplosione delle [SIC] regia nave Benedetto Brin.
Vi si afferma che una commissione è stata nominata per procedere ad una immediata inchiesta intesa ad accertare le cause dell'esplosione.
« La commissione proceda pure alle sue constatazioni con l'aiuto dei tecnici che sono stati richiesti. Ma io, interprete e partecipe della grave impressione che la notizia della perdita della poderosa nave e di tante vite di valorosi ufficiali e marinai produrrà nel Paese, prego V. A. R. di assumersi direttamente il compito di accertare le cause del doloroso fatto, ricercando, senza riguardi a persone, le eventuali responsabilità e rassicurando il Paese e la Marina, che deve e vuole essere esposta ai colpi del nemico, ma non a rischi immani derivanti forse da negligenze o acquiescenze, le quali — se vi sono state — debbono rigorosamente accertarsi, dichiararsi e punirsi ».
LA NAVE
La Benedetto Brin era stata varata il 7 novembre 1901, dopo essere rimasta sullo scalo per quasi tre anni. Al pari della sua gemella, la Regina Margherita, essa era stata progettata dal Brin, il nostro grande ingegnere e ministro, morto nel giugno del 1898, alla vigilia della impostazione delle due navi che dovevano segnare la rinascita della, allora, nostra troppo decaduta marina.
Il progetto originale del Brin, degno della sua grande mente, comportava per queste navi un armamento di due cannoni da 305 in una torre a poppa e dieci pezzi da 203 in cinque torri, una a prora e due lungo ciascun fianco della nave: precorreva così i concetti che Vittorio Cuniberti tradusse poi in pratica col riuscitissimo tipo Regina Elena. L'innovazione parve forse, in quei tempi ne i quali l'armamento secondario non superava generalmente il calibro di 152 millimetri, troppo ardita; e, morto il Brin, venne dato all'ingegnere Micheli l'incarico di modificare il progetto. In tal modo la Brin ebbe un'artiglieria composta di quattro cannoni da 305 in due torri all'estremità della nave, quattro cannoni da 203 sul ponte, ai quattro angoli della cittadella e dodici pezzi da 152 in batteria, oltre ai numerosi pezzi minori. La nave si accostò così molto a quel tipo di corazzate al quale l'Inghilterra si tenne fedele dalla Majestic del 1895 alla King Edward VII del 1903.
La Brin e la sua gemella furono le nostre prime corazzate di linea dotate di caldaie multitubolari e di motrici a triplice espansione e quattro cilindri. Furono anche le prime nelle quali si facesse largo impiego dell'elettricità per i servizi ausiliari e di tutte le più moderne applicazioni della tecnica e dell'igiene.
Allorchè [SIC] la nave entrò in servizio, nel 1905, essa era già in arretrato sui progressi compiuti nel frattempo dalle artiglierie e dalle corazze. La sua corazza, del massimo spessore di 152 millimetri, era già troppo tenue schermo alle offese dei grossi cannoni fabbricati nel quinquennio 1900-1905, mentrechè [SIC] i suoi cannoni da 152 apparivano già scarsamente efficaci contro le nuove piastre fabbricate col sistema Krupp. Oltre a ciò la nave presentava un bersaglio non indifferente a motivo dell'eccessivo sviluppo delle sue soprastrutture (che vennero parzialmente ridotte in seguito), e per le enormi e caratteristiche trombe d'aria che sorgevano presso ai tre tozzi e grandi fumaiuoli.
Per tutti questi motivi la Benedetto Brin non potè [SIC] mai essere considerata come una nave di linea molto potente; e l'avvento delle dreadnoughts la relegò definitivamente fra le corazzate di secondaria importanza. Ma, poichè [SIC] tutto è relativo, essa rappresentò per lungo tempo ancora un elemento tutt'altro che trascurabile di fronte alle navi contemporanee delle marine austriaca e francese; ancora oggi, dopo dieci anni di servizio, la sua efficenza [SIC] bellica poteva ritenersi notevole.
Utili servigi aveva reso la nave al tempo della guerra italo-turca, ed a lei spettava il vanto di avere iniziato le ostilità con la Turchia, tirando i primi due colpi di cannone contro i forti di Tripoli, il 2 ottobre 1911.
La corazzata perduta era lunga m. 138.65, larga m. 23.84 ed aveva una immersione di m. 8.25; a queste dimensioni corrispondeva l'attuale dislocamento di 14.974 tonnellate. Le sue due motrici, che avevano sviluppato alle prove la potenza massima di 20.475 cavalli vapore, potevano imprimerle ancora oggi una velocità superiore ai 19 nodi; la sua autonomia era di 5000 miglia alla velocità di 10 nodi. Era costata circa trenta milioni.
RENATO CALANTUONI.
VITA AL FRONTE
Un cappellano laico.
Ricorreva il nome di Maria, dolcissimo nome, ed in uno dei nostri settori più impervi del fronte, si doveva celebrare la messa al campo.
Sul dorso della montagna, illuminato dal primo sole del mattino, a scaglioni, sulla strada, sul sentiero, sulle rocce soprastanti, attorno al palco adattato ad altare si raccoglievano i soldati come in un magnifico anfiteatro; nel mezzo gli ufficiali. Di quando in quando l'ormai consueto e cupo rombo del cannone. Senonchè [SIC], era passata un'ora da quella fissata, e il comandante si avvede che il cappellano celebrante non è ancora arrivato. Che fare? La situazione è imbarazzante. Breve consiglio; si stacca un messaggero il quale ritorna poco dopo accompagnato... dall'onorevole Luigi Gasparotto.
Il deputato di Milano è pregato di parlare, e alle prime esitanze gli si affollano intorno gli ufficiali. Allora l'on. Gasparotto accenna a cominciare. «Il fatto
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della croce d'oro con corona per 40 anni di servizio militare, della croce d'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro, della commenda della Corona d'Italia e delle medaglie commemorative delle campagne d'Africa e della guerra italo-turca.
Il comandante Gino Fara Forni aveva 48 anni. Fu nominato capitano di corvetta nel 1903, e al Ministero della Marina ebbe importanti uffici. Durante la guerra libica comandava la nave Iride e prese parte al combattimento di Zuara ed a combattimenti lungo la costa tripolitana. Prima di partire per Brindisi era addetto al comando dei reali Equipaggi.
Quasi tutti gli ufficiali di vascello sono periti; si sono salvati invece, ad eccezione del capitano Pietro Ciabatti, Azzarini, G. M. Pollini e F. Molino, gli ufficiali macchinisti e gli ufficiali medici: perì anche il capitano del genio navale ing. Franco Pegazzano.
[FIG. Il sommergibile francese Papin (vedi pag. 276).]
Dopo i soccorsi ai feriti, fu dato opera ai lavori per il ricupero dei materiali e dei cannoni.
Probabilmente — escluso ogni attentato esterno del nemico — l'esplosione deve attribuirsi a quelle cause misteriose che funestarono le altre marine e che per la prima volta, il 27 settembre 1915, colpirono la nostra. I francesi sono stati in passato duramente provati da simili disgrazie: nel 1907 la Jena mentre era in bacino fu abbattuta da una esplosione avvenuta nella Santa Barbara di poppa, e più tardi nella rada di Tolone saltava la Liberté.
Poco prima del disastro l'ammiraglio Rubin de Cervin, che era sceso a terra per conferire con gli altri comandanti delle navi, saliva sulla corazzata e convocava a gran rapporto lo Stato Maggiore della nave al quale doveva comunicare alcuni ordini.
Intanto attorno alla nostra bella nave alcuni marinai prendevano il bagno. L'esplosione avvenne mentre gli ufficiali erano nel salone maggiore per il rapporto: la Santa Barbara di poppa, che si trovava proprio sotto il detto salone, saltò improvvisamente in aria.
Il telegramma dell'On. Salandra.
L'on. Salandra, nel giorno stesso della catastrofe diresse al Duca degli Abruzzi questo telegramma:
« Ho letto il rapporto dell'ammiraglio Presbitero relativo all'esplosione delle [SIC] regia nave Benedetto Brin.
Vi si afferma che una commissione è stata nominata per procedere ad una immediata inchiesta intesa ad accertare le cause dell'esplosione.
« La commissione proceda pure alle sue constatazioni con l'aiuto dei tecnici che sono stati richiesti. Ma io, interprete e partecipe della grave impressione che la notizia della perdita della poderosa nave e di tante vite di valorosi ufficiali e marinai produrrà nel Paese, prego V. A. R. di assumersi direttamente il compito di accertare le cause del doloroso fatto, ricercando, senza riguardi a persone, le eventuali responsabilità e rassicurando il Paese e la Marina, che deve e vuole essere esposta ai colpi del nemico, ma non a rischi immani derivanti forse da negligenze o acquiescenze, le quali — se vi sono state — debbono rigorosamente accertarsi, dichiararsi e punirsi ».
LA NAVE
La Benedetto Brin era stata varata il 7 novembre 1901, dopo essere rimasta sullo scalo per quasi tre anni. Al pari della sua gemella, la Regina Margherita, essa era stata progettata dal Brin, il nostro grande ingegnere e ministro, morto nel giugno del 1898, alla vigilia della impostazione delle due navi che dovevano segnare la rinascita della, allora, nostra troppo decaduta marina.
Il progetto originale del Brin, degno della sua grande mente, comportava per queste navi un armamento di due cannoni da 305 in una torre a poppa e dieci pezzi da 203 in cinque torri, una a prora e due lungo ciascun fianco della nave: precorreva così i concetti che Vittorio Cuniberti tradusse poi in pratica col riuscitissimo tipo Regina Elena. L'innovazione parve forse, in quei tempi ne i quali l'armamento secondario non superava generalmente il calibro di 152 millimetri, troppo ardita; e, morto il Brin, venne dato all'ingegnere Micheli l'incarico di modificare il progetto. In tal modo la Brin ebbe un'artiglieria composta di quattro cannoni da 305 in due torri all'estremità della nave, quattro cannoni da 203 sul ponte, ai quattro angoli della cittadella e dodici pezzi da 152 in batteria, oltre ai numerosi pezzi minori. La nave si accostò così molto a quel tipo di corazzate al quale l'Inghilterra si tenne fedele dalla Majestic del 1895 alla King Edward VII del 1903.
La Brin e la sua gemella furono le nostre prime corazzate di linea dotate di caldaie multitubolari e di motrici a triplice espansione e quattro cilindri. Furono anche le prime nelle quali si facesse largo impiego dell'elettricità per i servizi ausiliari e di tutte le più moderne applicazioni della tecnica e dell'igiene.
Allorchè [SIC] la nave entrò in servizio, nel 1905, essa era già in arretrato sui progressi compiuti nel frattempo dalle artiglierie e dalle corazze. La sua corazza, del massimo spessore di 152 millimetri, era già troppo tenue schermo alle offese dei grossi cannoni fabbricati nel quinquennio 1900-1905, mentrechè [SIC] i suoi cannoni da 152 apparivano già scarsamente efficaci contro le nuove piastre fabbricate col sistema Krupp. Oltre a ciò la nave presentava un bersaglio non indifferente a motivo dell'eccessivo sviluppo delle sue soprastrutture (che vennero parzialmente ridotte in seguito), e per le enormi e caratteristiche trombe d'aria che sorgevano presso ai tre tozzi e grandi fumaiuoli.
Per tutti questi motivi la Benedetto Brin non potè [SIC] mai essere considerata come una nave di linea molto potente; e l'avvento delle dreadnoughts la relegò definitivamente fra le corazzate di secondaria importanza. Ma, poichè [SIC] tutto è relativo, essa rappresentò per lungo tempo ancora un elemento tutt'altro che trascurabile di fronte alle navi contemporanee delle marine austriaca e francese; ancora oggi, dopo dieci anni di servizio, la sua efficenza [SIC] bellica poteva ritenersi notevole.
Utili servigi aveva reso la nave al tempo della guerra italo-turca, ed a lei spettava il vanto di avere iniziato le ostilità con la Turchia, tirando i primi due colpi di cannone contro i forti di Tripoli, il 2 ottobre 1911.
La corazzata perduta era lunga m. 138.65, larga m. 23.84 ed aveva una immersione di m. 8.25; a queste dimensioni corrispondeva l'attuale dislocamento di 14.974 tonnellate. Le sue due motrici, che avevano sviluppato alle prove la potenza massima di 20.475 cavalli vapore, potevano imprimerle ancora oggi una velocità superiore ai 19 nodi; la sua autonomia era di 5000 miglia alla velocità di 10 nodi. Era costata circa trenta milioni.
RENATO CALANTUONI.
VITA AL FRONTE
Un cappellano laico.
Ricorreva il nome di Maria
-
della croce d'oro con corona per 40 anni di servizio militare, della croce d'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro, della commenda della Corona d'Italia e delle medaglie commemorative delle campagne d'Africa e della guerra italo-turca.
Il comandante Gino Fara Forni aveva 48 anni. Fu nominato capitano di corvetta nel 1903, e al Ministero della Marina ebbe importanti uffici. Durante la guerra libica comandava la nave Iride e prese parte al combattimento di Zuara ed a combattimenti lungo la costa tripolitana. Prima di partire per Brindisi era addetto al comando dei reali Equipaggi.
Quasi tutti gli ufficiali di vascello sono periti; si sono salvati invece, ad eccezione del capitano Pietro Ciabatti, Azzarini, G. M. Pollini e F. Molino, gli ufficiali macchinisti e gli ufficiali medici: perì anche il capitano del genio navale ing. Franco Pegazzano.
[FIG. Il sommergibile francese Papin (vedi pag. 276).]
Dopo i soccorsi ai feriti, fu dato opera ai lavori per il ricupero dei materiali e dei cannoni.
Probabilmente — escluso ogni attentato esterno del nemico — l'esplosione deve attribuirsi a quelle cause misteriose che funestarono le altre marine e che per la prima volta, il 27 settembre 1915, colpirono la nostra. I francesi sono stati in passato duramente provati da simili disgrazie: nel 1907 la Jena mentre era in bacino fu abbattuta da una esplosione avvenuta nella Santa Barbara di poppa, e più tardi nella rada di Tolone saltava la Liberté.
Poco prima del disastro l'ammiraglio Rubin de Cervin, che era sceso a terra per conferire con gli altri comandanti delle navi, saliva sulla corazzata e convocava a gran rapporto lo Stato Maggiore della nave al quale doveva comunicare alcuni ordini.
Intanto attorno alla nostra bella nave alcuni marinai prendevano il bagno. L'esplosione avvenne mentre gli ufficiali erano nel salone maggiore per il rapporto: la Santa Barbara di poppa, che si trovava proprio sotto il detto salone, saltò improvvisamente in aria.
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- 5850 / 66315
- Contributor
- Guglielmina Di Girolamo
October 10, 1915
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