Rivista "La Guerra Italiana". N. 20
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pag. 308
COME SI COMBATTE
La narrazione di un colonnello.
Un colonnello, che fu già addetto militare italiano all'ambasciata di Vienna, tenne ai giornalisti recatisi al fronte, una specie di conferenza all'aperto — e rombava lontano il cannone — per riferire le enormi difficoltà che dovettero incontrare i nostri soldati per le asprezze del terreno e per la perfezione degli sbarramenti austriaci, specialmente sul Carso.
— Chi disse che lo stato maggiore italiano pubblicava dei bollettini meteorologici, piuttosto che bollettini di guerra — cominciò il colonnello — non diede che la dimostrazione di una burbanzosa ignoranza.
Occorre conoscere la natura del terreno, le sue capricciose irregolarità, le sue sporgenze acute, i suoi avallamenti profondi; occorre conoscere come sia tortuoso e irregolare il corso delle acque per rendersi ragione della enorme influenza che hanno sullo svolgersi delle operazioni la temperatura e, soprattutto, la pioggia. Nel periodo delle nostre prime e fortunate avanzate il cielo fu inclemente, i fiumi erano in piena e specialmente là dove si restringono in vere strozzature, le correnti diventarono rapidissime, tantochè di fronte alla loro violenza nessun ponte, anche di carattere semi-stabile, può resistere.
Al di là dei corsi d'acqua gli austriaci, favoriti dalla natura ed avendo avuto a propria disposizione tutto il tempo necessario e tutta la ricca esperienza acquisita in altri territori, sbarrarono il passo con lunghissime catene di trincee e di reticolati: catene lunghe e profonde che si ripetono e si moltiplicano seguendo le curve del terreno ed opponendosi come un unico sterminato campo trincerato.
La prima « puntata » d'avanzata — continuò l'ufficiale — si fece il 24 maggio. Dal 25 al 28 si è combattuto ardentemente per la conquista di Monte Fortino che ostruiva la strada. A queste operazioni seguì un periodo necesariamente non breve, per fortificare i luoghi conquistati ed ancora esposti al fuoco. Si doveva, d'altra parte, attendere il progresso delle truppe non operanti in primissima linea e l'organizzazione di tutti i servizi, cosa questa non estremamente facile quando si opera in terreno di conquista. Il giorno 8 giugno cominciò il secondo periodo della nostra avanzata col passaggio dell'Isonzo a Sagrado, passaggio che si fece miracolosamente sopra un fragile ponte bersagliato dal fuoco nemico. Da quel momento si iniziò la serie ininterrotta di attacchi e difese disperate che formano come gli episodi di un'unica colossale battaglia. Il Carso, brullo e rossiccio dalle falde alle creste, fu battuto senza pause, senza riposo dalle nostre bocche da fuoco: sulle cime disputate i nostri soldati si arrampicavano formando come un immenso formicaio umano. Fu necessario costruire, combattendo, le nostre trincee. Per questa opera trovammo difficoltà che nessun popolo in guerra ha incontrato: i nostri alleati, pur valorosi e pur tante volte in difficili condizioni di lotta, non hanno mai dovuto superare ostacoli così gravi.
Le trincee non si potevano costruire scavando il suolo perchè il suolo è roccioso e troppo tempo occorreva a minarlo; sul Carso, generalmente, non vi sono pietre, neppure quelle dei piccoli muri a secco che i contadini elevano per segnare il confine dei campi; si dovette quindi ricorrere a delle sopra-elevazioni con sacchi colmi di pietra, scavata altrove e portata faticosamente temporanee.
I nostri soldati, lo sappia il paese e ne sia orgoglioso — concluse il colonnello — si mostrarono degni di una situazione nuova, che ai più arditi condottieri poteva sembrare insuperabile; nessuna fatica vollero risparmiarsi, a nessun sacrificio vollero sfuggire. Con le bandiere al vento ed al grido di « Savoia! » salirono, sempre, non tremando se il vicino cadeva, non tremando se le avanguardie avevano lasciato eroi sul terreno, sempre impavidi quando la morte appariva anche come una fatale certezza!
foto - Le ferrovie Decauville per il trasporto delle grosse munizioni.
pag. 309
foto - Cadavere austriaco rinvenuto dopo un combattimento.
La conquista della conca di Plezzo.
La conca di Plezzo è — scrive il Barzini — un convegno di valli in mezzo ad un'aspra, maestosa confusione di montagne, dalle vette dirupate e nude, Essa appare come un ondulato lago di verdure e di vita, con un bordo di selve, in un anfiteatro selvaggio di pendici e di balze.
Ma ogni valle è una strada, e tante strade facevano della conca di Plezzo un luogo di concentrazione e di distribuzione della forza austriaca. Plezzo costituiva per noi un pericolo, era una delle basi preparate per l'invasione. Le strade austriache del Fella e del Predil, quelle magnifiche vie che da Pontafel, per Malborghetto, Tarvis e il passo del Predil, scendono a Plezzo, possentemente fortificate, allacciate strettamente alle grandi arterie del Gail e della Drava, cingevano di una formidabile tenaglia il nostro estremo saliente della frontiera: battendo Malborghetto e battendo Plezzo noi abbiamo spuntato le pinze della tenaglia, che s'impernia a Tarvis, e contro le quali non avevamo potuto costruire nè strade nè forti.
L'avanzata italiana si mosse a Plezzo verso Javorcek per il Monte Nero il 14 agosto, puntando lungo il vallone dello Slatenik, che gli austriaci avevano sbarrato con trinceramenti. Il 15 una prima trincea venne espugnata e vi furono presi trecento prigionieri.
Il combattimento non sostò. Il 16, nuove trincee fra la cresta del Vrsic e una località detta Dol Planina, sul versante occidentale delle propaggini del Monte Nero, erano conquistate. Il nemico contrattaccò, fu respinto, e il 17 agosto facevamo un altro passo avanti dalla cresta di Vrsic in direzione dello Javorcek, ricacciando, dopo viva lotta, gli austriaci da un'estesa linea di trincee. Intanto dei reparti alpini, scesi dalla Valle Resia, per la Sella Prevala, dalla Valle Raccolana, appoggiati da forze che salivano da Saga, incominciavano i primi movimenti per investire il Rombon, il baluardo di sinistra.
L'attacco del monte Rombon cominciò il 28 agosto.
Quel giorno, sulle ripide balze meridionali del monte, furono conquistate le prime trincee nemiche, e una piccola carovana di prigionieri scendeva alla sera per i dirupi verso Saga.
Però altri reparti da montagna, che venivano da ponente, tentavano l'assalto della vetta già all'alba del 27, contro le trincee che coprivano il cocuzzolo roccioso del monte. La lotta fu accanita, qualche trincea fu presa, ma il nemico rimase padrone dell'estrema punta e intorno ad essa si stabilì un fantastico assedio.
Gli ufficiali, che nel mattino del 27 osservavano da Saga l'attacco, hanno scorto più volte come uno scendere di frane, un piombare vertiginoso di massi lungo le pendici scoscese. Erano blocchi lanciati sull'assalto.
Gli austriaci avevano preparato un'arma terribile.
Avevano disposto orizzontalmente sul pendìo delle travi, tenute da corde alle estremità, e appoggiate alle travi avevano ammassato enormi pietre. Quando vedevano che il fuoco dei fucili e il lancio delle granate a mano non fermavano la furia dell'attacco, lasciavano andare una delle corde, la trave cadeva, e tutto l'ammassamento del pietrame, mancando di sostegno, precipitava tumultuosamente, rotolava lungo la costa: era un contrattacco di macigni.
I nostri, sorpresi ma non sgomentati, non hanno ceduto terreno, non si sono ritirati. Tutto quello che cade segue le linee di massima pendenza; i nostri soldati hanno cominciato ad attaccarsi ai costoni, alle sporgenze, alle balze, formandovi dei ripari: poi hanno creato sbarramenti, difese, ed hanno allargato a poco a poco il loro fronte di attacco. Intorno all'estrema vetta tendono a formare un cerchio d'investimento: non potendo assalire ancora, vogliono chiudere il nemico come in un assedio.
Ai difensori non rimane più che una strada aperta.
È un sentieruolo verso levante, verso la valle del Predil. Non si lotta quasi più che per quello, sotto il fuoco, quasi perenne, delle artiglierie.
Il paese di Plezzo.
Le artiglierie tirano contro le nostre posizioni che stringono da presso tutta la difesa nemica della conca di Plezzo sulle pendici dell'erto Rombon, lungo i fianchi dello Svimak, sugli ultimi costoni dell'Javorcek, sugli appostamenti boscosi dove il Coritenza si congiunge all'Isonzo.
foto - Due nostri generali in tenuta di semplici soldati
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COME SI COMBATTE
La narrazione di un colonnello.
Un colonnello, che fu già addetto militare italiano all'ambasciata di Vienna, tenne ai giornalisti recatisi al fronte, una specie di conferenza all'aperto — e rombava lontano il cannone — per riferire le enormi difficoltà che dovettero incontrare i nostri soldati per le asprezze del terreno e per la perfezione degli sbarramenti austriaci, specialmente sul Carso.
— Chi disse che lo stato maggiore italiano pubblicava dei bollettini meteorologici, piuttosto che bollettini di guerra — cominciò il colonnello — non diede che la dimostrazione di una burbanzosa ignoranza.
Occorre conoscere la natura del terreno, le sue capricciose irregolarità, le sue sporgenze acute, i suoi avallamenti profondi; occorre conoscere come sia tortuoso e irregolare il corso delle acque per rendersi ragione della enorme influenza che hanno sullo svolgersi delle operazioni la temperatura e, soprattutto, la pioggia. Nel periodo delle nostre prime e fortunate avanzate il cielo fu inclemente, i fiumi erano in piena e specialmente là dove si restringono in vere strozzature, le correnti diventarono rapidissime, tantochè di fronte alla loro violenza nessun ponte, anche di carattere semi-stabile, può resistere.
Al di là dei corsi d'acqua gli austriaci, favoriti dalla natura ed avendo avuto a propria disposizione tutto il tempo necessario e tutta la ricca esperienza acquisita in altri territori, sbarrarono il passo con lunghissime catene di trincee e di reticolati: catene lunghe e profonde che si ripetono e si moltiplicano seguendo le curve del terreno ed opponendosi come un unico sterminato campo trincerato.
La prima « puntata » d'avanzata — continuò l'ufficiale — si fece il 24 maggio. Dal 25 al 28 si è combattuto ardentemente per la conquista di Monte Fortino che ostruiva la strada. A queste operazioni seguì un periodo necesariamente non breve, per fortificare i luoghi conquistati ed ancora esposti al fuoco. Si doveva, d'altra parte, attendere il progresso delle truppe non operanti in primissima linea e l'organizzazione di tutti i servizi, cosa questa non estremamente facile quando si opera in terreno di conquista. Il giorno 8 giugno cominciò il secondo periodo della nostra avanzata col passaggio dell'Isonzo a Sagrado, passaggio che si fece miracolosamente sopra un fragile ponte bersagliato dal fuoco nemico. Da quel momento si iniziò la serie ininterrotta di attacchi e difese disperate che formano come gli episodi di un'unica colossale battaglia. Il Carso, brullo e rossiccio dalle falde alle creste, fu battuto senza pause, senza riposo dalle nostre bocche da fuoco: sulle cime disputate i nostri soldati si arrampicavano formando come un immenso formicaio umano. Fu necessario costruire, combattendo, le nostre trincee. Per questa opera trovammo difficoltà che nessun popolo in guerra ha incontrato: i nostri alleati, pur valorosi e pur tante volte in difficili condizioni di lotta, non hanno mai dovuto superare ostacoli così gravi.
Le trincee non si potevano costruire scavando il suolo perchè il suolo è roccioso e troppo tempo occorreva a minarlo; sul Carso, generalmente, non vi sono pietre, neppure quelle dei piccoli muri a secco che i contadini elevano per segnare il confine dei campi; si dovette quindi ricorrere a delle sopra-elevazioni con sacchi colmi di pietra, scavata altrove e portata faticosamente temporanee.
I nostri soldati, lo sappia il paese e ne sia orgoglioso — concluse il colonnello — si mostrarono degni di una situazione nuova, che ai più arditi condottieri poteva sembrare insuperabile; nessuna fatica vollero risparmiarsi, a nessun sacrificio vollero sfuggire. Con le bandiere al vento ed al grido di « Savoia! » salirono, sempre, non tremando se il vicino cadeva, non tremando se le avanguardie avevano lasciato eroi sul terreno, sempre impavidi quando la morte appariva anche come una fatale certezza!
foto - Le ferrovie Decauville per il trasporto delle grosse munizioni.
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foto - Cadavere austriaco rinvenuto dopo un combattimento.
La conquista della conca di Plezzo.
La conca di Plezzo è — scrive il Barzini — un convegno di valli in mezzo ad un'aspra, maestosa confusione di montagne, dalle vette dirupate e nude, Essa appare come un ondulato lago di verdure e di vita, con un bordo di selve, in un anfiteatro selvaggio di pendici e di balze.
Ma ogni valle è una strada, e tante strade facevano della conca di Plezzo un luogo di concentrazione e di distribuzione della forza austriaca. Plezzo costituiva per noi un pericolo, era una delle basi preparate per l'invasione. Le strade austriache del Fella e del Predil, quelle magnifiche vie che da Pontafel, per Malborghetto, Tarvis e il passo del Predil, scendono a Plezzo, possentemente fortificate, allacciate strettamente alle grandi arterie del Gail e della Drava, cingevano di una formidabile tenaglia il nostro estremo saliente della frontiera: battendo Malborghetto e battendo Plezzo noi abbiamo spuntato le pinze della tenaglia, che s'impernia a Tarvis, e contro le quali non avevamo potuto costruire nè strade nè forti.
L'avanzata italiana si mosse a Plezzo verso Javorcek per il Monte Nero il 14 agosto, puntando lungo il vallone dello Slatenik, che gli austriaci avevano sbarrato con trinceramenti. Il 15 una prima trincea venne espugnata e vi furono presi trecento prigionieri.
Il combattimento non sostò. Il 16, nuove trincee fra la cresta del Vrsic e una località detta Dol Planina, sul versante occidentale delle propaggini del Monte Nero, erano conquistate. Il nemico contrattaccò, fu respinto, e il 17 agosto facevamo un altro passo avanti dalla cresta di Vrsic in direzione dello Javorcek, ricacciando, dopo viva lotta, gli austriaci da un'estesa linea di trincee. Intanto dei reparti alpini, scesi dalla Valle Resia, per la Sella Prevala, dalla Valle Raccolana, appoggiati da forze che salivano da Saga, incominciavano i primi movimenti per investire il Rombon, il baluardo di sinistra.
L'attacco del monte Rombon cominciò il 28 agosto.
Quel giorno, sulle ripide balze meridionali del monte, furono conquistate le prime trincee nemiche, e una piccola carovana di prigionieri scendeva alla sera per i dirupi verso Saga.
Però altri reparti da montagna, che venivano da ponente, tentavano l'assalto della vetta già all'alba del 27, contro le trincee che coprivano il cocuzzolo roccioso del monte. La lotta fu accanita, qualche trincea fu presa, ma il nemico rimase padrone dell'estrema punta e intorno ad essa si stabilì un fantastico assedio.
Gli ufficiali, che nel mattino del 27 osservavano da Saga l'attacco, hanno scorto più volte come uno scendere di frane, un piombare vertiginoso di massi lungo le pendici scoscese. Erano blocchi lanciati sull'assalto.
Gli austriaci avevano preparato un'arma terribile.
Avevano disposto orizzontalmente sul pendìo delle travi, tenute da corde alle estremità, e appoggiate alle travi avevano ammassato enormi pietre. Quando vedevano che il fuoco dei fucili e il lancio delle granate a mano non fermavano la furia dell'attacco, lasciavano andare una delle corde, la trave cadeva, e tutto l'ammassamento del pietrame, mancando di sostegno, precipitava tumultuosamente, rotolava lungo la costa: era un contrattacco di macigni.
I nostri, sorpresi ma non sgomentati, non hanno ceduto terreno, non si sono ritirati. Tutto quello che cade segue le linee di massima pendenza; i nostri soldati hanno cominciato ad attaccarsi ai costoni, alle sporgenze, alle balze, formandovi dei ripari: poi hanno creato sbarramenti, difese, ed hanno allargato a poco a poco il loro fronte di attacco. Intorno all'estrema vetta tendono a formare un cerchio d'investimento: non potendo assalire ancora, vogliono chiudere il nemico come in un assedio.
Ai difensori non rimane più che una strada aperta.
È un sentieruolo verso levante, verso la valle del Predil. Non si lotta quasi più che per quello, sotto il fuoco, quasi perenne, delle artiglierie.
Il paese di Plezzo.
Le artiglierie tirano contro le nostre posizioni che stringono da presso tutta la difesa nemica della conca di Plezzo sulle pendici dell'erto Rombon, lungo i fianchi dello Svimak, sugli ultimi costoni dell'Javorcek, sugli appostamenti boscosi dove il Coritenza si congiunge all'Isonzo.
foto - Due nostri generali in tenuta di semplici soldati
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COME SI COMBATTE
La narrazione di un colonnello.
Un colonnello, che fu già addetto militare italiano all'ambasciata di Vienna, tenne ai giornalisti recatisi al fronte, una specie di conferenza all'aperto — e rombava lontano il cannone — per riferire le enormi difficoltà che dovettero incontrare i nostri soldati per le asprezze del terreno e per la perfezione degli sbarramenti austriaci, specialmente sul Carso.
— Chi disse che lo stato maggiore italiano pubblicava dei bollettini meteorologici, piuttosto che bollettini di guerra — cominciò il colonnello — non diede che la dimostrazione di una burbanzosa ignoranza.
Occorre conoscere la natura del terreno, le sue capricciose irregolarità, le sue sporgenze acute, i suoi avallamenti profondi; occorre conoscere come sia tortuoso e irregolare il corso delle acque per rendersi ragione della enorme influenza che hanno sullo svolgersi delle operazioni la temperatura e, soprattutto, la pioggia. Nel periodo delle nostre prime e fortunate avanzate il cielo fu inclemente, i fiumi erano in piena e specialmente là dove si restringono in vere strozzature, le correnti diventarono rapidissime, tantochè [SIC] di fronte alla loro violenza nessun ponte, anche di carattere semi-stabile, può resistere.
Al di là dei corsi d'acqua gli austriaci, favoriti dalla natura ed avendo avuto a propria disposizione tutto il tempo necessario e tutta la ricca esperienza acquisita in altri territori, sbarrarono il passo con lunghissime catene di trincee e di reticolati: catene lunghe e profonde che si ripetono e si moltiplicano seguendo le curve del terreno ed opponendosi come un unico sterminato campo trincerato.
La prima « puntata » d'avanzata — continuò l'ufficiale — si fece il 25 maggio. Dal 25 al 28 si è combattuto ardentemente per la conquista di Monte Fortino che ostruiva la strada. A queste operazioni seguì un periodo necesariamente [SIC] non breve, per fortificare i luoghi conquistati ed ancora esposti al fuoco. Si doveva, d'altra parte, attendere il progresso delle truppe non operanti in primissima linea e l'organizzazione di tutti i servizi, cosa questa non estremamente facile quando si opera in terreno di conquista. Il giorno 8 giugno cominciò il secondo periodo della nostra avanzata col passaggio dell'Isonzo a Sagrado, passaggio che si fece miracolosamente sopra un fragile ponte bersagliato dal fuoco nemico. Da quel momento si iniziò la serie ininterrotta di attacchi e difese disperate che formano come gli episodi di un'unica colossale battaglia. Il Carso, brullo e rossiccio dalle falde alle creste, fu battuto senza pause, senza riposo dalle nostre bocche da fuoco: sulle cime disputate i nostri soldati si arrampicavano formando come un immenso formicaio umano. Fu necessario costruire, combattendo, le nostre trincee. Per questa opera trovammo difficoltà che nessun popolo in guerra ha incontrato: i nostri alleati, pur valorosi e pur tante volte in difficili condizioni di lotta, non hanno mai dovuto superare ostacoli così gravi.
Le trincee non si potevano costruire scavando il suolo perchè [SIC] il suolo è roccioso e troppo tempo occorreva a minarlo; sul Carso, generalmente, non vi sono pietre, neppure quelle dei piccoli muri a secco che i contadini elevano per segnare il confine dei campi; si dovette quindi ricorrere a delle sopra-elevazioni con sacchi colmi di pietra, scavata altrove e portata faticosamente temporanee.
I nostri soldati, lo sappia il paese e ne sia orgoglioso — concluse il colonnello — si mostrarono degni di una situazione nuova, che ai più arditi condottieri poteva sembrare insuperabile; nessuna fatica vollero risparmiarsi, a nessun sacrificio vollero sfuggire. Con le bandiere al vento ed al grido di « Savoia! » salirono, sempre, non tremando se il vicino cadeva, non tremando se le avanguardie avevano lasciato eroi sul terreno, sempre impavidi quando la morte appariva anche come una fatale certezza!
[ FIG. Le ferrovie Decauville per il trasporto delle grosse munizioni. ]
[ FIG. Cadavere austriaco rinvenuto dopo un combattimento.]
La conquista della conca di Plezzo.
La conca di Plezzo è — scrive il Barzini — un convegno di valli in mezzo ad un'aspra, maestosa confusione di montagne, dalle vette dirupate e nude, Essa appare come un ondulato lago di verdure e di vita, con un bordo di selve, in un anfiteatro selvaggio di pendici e di balze.
Ma ogni valle è una strada, e tante strade facevano della conca di Plezzo un luogo di concentrazione e di distribuzione della forza austriaca. Plezzo costituiva per noi un pericolo, era una delle basi preparate per l'invasione. Le strade austriache del Fella e del Predil, quelle magnifiche vie che da Pontafel, per Marborghetto, Travis e il passo del Predil, scendono a Plezzo, possentemente fortificate, allacciate strettamente alle grandi arterie del Gail e della Drava, cingevano di una formidabile tenaglia il nostro estremo saliente della frontiera: battendo Malborghetto e battendo Plezzo noi abbiamo spuntato le pinze della tenaglia, che s'impernia a Tarvis, e contro le quali non avevamo potuto costruire nè [SIC] strade nè [SIC] forti.
L'avanzata italiana si mosse a Plezzo verso Javorcek per il Monte Nero il 14 agosto, puntando lungo il vallone dello Slatenik, che gli austriaci avevano sbarrato con trinceramenti. Il 15 una prima trincea venne espugnata e vi furono presi trecento prigionieri.
Il combattimento non sostò. Il 16, nuove trincee fra la cresta del Vrsic e una località detta Dol Planina, sul versante occidentale delle propaggini del Monte Nero, erano conquistate. Il nemico contrattaccò, fu respinto, e il 17 agosto facevamo un altro passo avanti dalla cresta di Vrsic in direzione dello Javorcek, ricacciando, dopo viva lotta, gli austriaci da un'estesa linea di trincee. Intanto dei reparti alpini, scesi dalla Valle Resia, per la Sella Prevala, dalla Valle Raccolana, appoggiati da forze che salivano da Saga, incominciavano i primi movimenti per investire il Rombon, il baluardo di sinistra.
L'attacco del monte Rombon cominciò il 28 agosto.
Quel giorno, sulle ripide balze meridionali del monte, furono conquistate le prime trincee nemiche, e una piccola carovana di prigionieri scendeva alla sera per i dirupi verso Saga.
Però altri reparti da montagna, che venivano da ponente, tentavano l'assalto della vetta già all'alba del 27, contro le trincee che coprivano il cocuzzolo roccioso del monte. La lotta fu accanita, qualche trincea fu presa, ma il nemico rimase padrone dell'estrema punta e intorno ad essa si stabilì un fantastico assedio.
Gli ufficiali, che nel mattino del 27 osservavano da Saga l'attacco, hanno scorto più volte come uno scendere di frane, un piombare vertiginoso di massi lungo le pendici scoscese. Erano blocchi lanciati sull'assalto.
Gli austriaci avevano preparato un'arma terribile.
Avevano disposto orizzontalmente sul pendìo delle travi, tenute da corde alle estremità, e appoggiate alle travi avevano ammassato enormi pietre. Quando vedevano che il fuoco dei fucili e il lancio delle granate a mano non fermavano la furia dell'attacco, lasciavano andare una delle corde, la trave cadeva, e tutto l'ammassamento del pietrame, mancando di sostegno, precipitava tumultuosamente, rotolava lungo la costa: era un contrattacco di macigni.
I nostri, sorpresi ma non sgomentati, non hanno ceduto terreno, non si sono ritirati. Tutto quello che cade segue le linee di massima pendenza; i nostri soldati hanno cominciato ad attaccarsi ai costoni, alle sporgenze, alle balze, formandovi dei ripari: poi hanno creato sbarramenti, difese, ed hanno allargato a poco a poco il loro fronte di attacco. Intorno all'estrema vetta tendono a formare un cerchio d'investimento: non potendo assalire ancora, vogliono chiudere il nemico come in un assedio.
Ai difensori non rimane più che una strada aperta.
È un sentieruolo verso levante, verso la valle del Predil. Non si lotta quasi più che per quello, sotto il fuoco, quasi perenne, delle artiglierie.
Il paese di Plezzo.
Le artiglierie tirano contro le nostre posizioni che stringono da presso tutta la difesa nemica della conca di Plezzo sulle pendici dell'erto Rombon, lungo i fianchi dello Svimak, sugli ultimi costoni dell'Javorcek, sugli appostamenti boscosi dove il Coritenza si congiunge all'Isonzo.
[FIG. Due nostri generali in tenuta di semplici soldati]
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COME SI COMBATTE
La narrazione di un colonnello.
Un colonnello, che fu già addetto militare italiano all'ambasciata di Vienna, tenne ai giornalisti recatisi al fronte, una specie di conferenza all'aperto — e rombava lontano il cannone — per riferire le enormi difficoltà che dovettero incontrare i nostri soldati per le asprezze del terreno e per la perfezione degli sbarramenti austriaci, specialmente sul Carso.
— Chi disse che lo stato maggiore italiano pubblicava dei bollettini meteorologici, piuttosto che bollettini di guerra — cominciò il colonnello — non diede che la dimostrazione di una burbanzosa ignoranza.
Occorre conoscere la natura del terreno, le sue capricciose irregolarità, le sue sporgenze acute, i suoi avallamenti profondi; occorre conoscere come sia tortuoso e irregolare il corso delle acque per rendersi ragione della enorme influenza che hanno sullo svolgersi delle operazioni la temperatura e, soprattutto, la pioggia. Nel periodo delle nostre prime e fortunate avanzate il cielo fu inclemente, i fiumi erano in piena e specialmente là dove si restringono in vere strozzature, le correnti diventarono rapidissime, tantochè [SIC] di fronte alla loro violenza nessun ponte, anche di carattere semi-stabile, può resistere.
Al di là dei corsi d'acqua gli austriaci, favoriti dalla natura ed avendo avuto a propria disposizione tutto il tempo necessario e tutta la ricca esperienza acquisita in altri territori, sbarrarono il passo con lunghissime catene di trincee e di reticolati: catene lunghe e profonde che si ripetono e si moltiplicano seguendo le curve del terreno ed opponendosi come un unico sterminato campo trincerato.
La prima « puntata » d'avanzata — continuò l'ufficiale — si fece il 25 maggio. Dal 25 al 28 si è combattuto ardentemente per la conquista di Monte Fortino che ostruiva la strada. A queste operazioni seguì un periodo necesariamente [SIC] non breve, per fortificare i luoghi conquistati ed ancora esposti al fuoco. Si doveva, d'altra parte, attendere il progresso delle truppe non operanti in primissima linea e l'organizzazione di tutti i servizi, cosa questa non estremamente facile quando si opera in terreno di conquista. Il giorno 8 giugno cominciò il secondo periodo della nostra avanzata col passaggio dell'Isonzo a Sagrado, passaggio che si fece miracolosamente sopra un fragile ponte bersagliato dal fuoco nemico. Da quel momento si iniziò la serie ininterrotta di attacchi e difese disperate che formano come gli episodi di un'unica colossale battaglia. Il Carso, brullo e rossiccio dalle falde alle creste, fu battuto senza pause, senza riposo dalle nostre bocche da fuoco: sulle cime disputate i nostri soldati si arrampicavano formando come un immenso formicaio umano. Fu necessario costruire, combattendo, le nostre trincee. Per questa opera trovammo difficoltà che nessun popolo in guerra ha incontrato: i nostri alleati, pur valorosi e pur tante volte in difficili condizioni di lotta, non hanno mai dovuto superare ostacoli così gravi.
Le trincee non si potevano costruire scavando il suolo perchè [SIC] il suolo è roccioso e troppo tempo occorreva a minarlo; sul Carso, generalmente, non vi sono pietre, neppure quelle dei piccoli muri a secco che i contadini elevano per segnare il confine dei campi; si dovette quindi ricorrere a delle sopra-elevazioni con sacchi colmi di pietra, scavata altrove e portata faticosamente temporanee.
I nostri soldati, lo sappia il paese e ne sia orgoglioso — concluse il colonnello — si mostrarono degni di una situazione nuova, che ai più arditi condottieri poteva sembrare insuperabile; nessuna fatica vollero risparmiarsi, a nessun sacrificio vollero sfuggire. Con le bandiere al vento ed al grido di « Savoia! » salirono, sempre, non tremando se il vicino cadeva, non tremando se le avanguardie avevano lasciato eroi sul terreno, sempre impavidi quando la morte appariva anche come una fatale certezza!
[ FIG. Le ferrovie Decauville per il trasporto delle grosse munizioni. ]
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COME SI COMBATTE
La narrazione di un colonnello.
Un colonnello, che fu già addetto militare italiano all'ambasciata di Vienna, tenne ai giornalisti recatisi al fronte, una specie di conferenza all'aperto — e rombava lontano il cannone — per riferire le enormi difficoltà che dovettero incontrare i nostri soldati per le asprezze del terreno e per la perfezione degli sbarramenti austriaci, specialmente sul Carso.
— Chi disse che lo stato maggiore italiano pubblicava dei bollettini meteorologici, piuttosto che bollettini di guerra — cominciò il colonnello — non diede che la dimostrazione di una burbanzosa ignoranza.
Occorre conoscere la natura del terreno, le sue capricciose irregolarità, le sue sporgenze acute, i suoi avallamenti profondi; occorre conoscere come sia tortuoso e irregolare il corso delle acque per rendersi ragione della enorme influenza che hanno sullo svolgersi delle operazioni la temperatura e, soprattutto, la pioggia. Nel periodo delle nostre prime e fortunate avanzate il cielo fu inclemente, i fiumi erano in piena e specialmente là dove si restringono in vere strozzature, le correnti diventarono rapidissime, tantochè [SIC] di fronte alla loro violenza nessun ponte, anche di carattere semi-stabile, può resistere.
Al di là dei corsi d'acqua gli austriaci, favoriti dalla natura ed avendo avuto a propria disposizione tutto il tempo necessario e tutta la ricca esperienza acquisita in altri territori, sbarrarono il passo con lunghissime catene di trincee e di reticolati: catene lunghe e profonde che si ripetono e si moltiplicano seguendo le curve del terreno ed opponendosi come un unico sterminato campo trincerato.
La prima « puntata » d'avanzata — continuò l'ufficiale — si fece il 25 maggio. Dal 25 al 28 si è combattuto ardentemente per la conquista di Monte Fortino che ostruiva la strada. A queste operazioni seguì un periodo necesariamente [SIC] non breve, per fortificare i luoghi conquistati ed ancora esposti al fuoco. Si doveva, d'altra parte, attendere il progresso delle truppe non operanti in primissima linea e l'organizzazione di tutti i servizi, cosa questa non estremamente facile quando si opera in terreno di conquista. Il giorno 8 giugno cominciò
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- 5850 / 66308
- Contributor
- Guglielmina Di Girolamo
October 10, 1915
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